La sensazione, una sensazione sgradevole, è che la vicenda dei turisti europei sequestrati il 19 settembre in Egitto possa malamente complicarsi. Respinto tra le frontiere di Egitto, Sudan, Ciad, Libia come una pallina in un flipper, il commando di sequestratori teme probabilmente di non avere scampo. Il «nemico» li ha intercettati, sa chi sono, come si muovono, qual è il territorio in cui si nasconde il «mucchio selvaggio». Ma proprio per questo, perché sentono il fiato delle forze di sicurezza sul collo, i banditi potrebbero fare qualche mossa avventata, mettere in pericolo le vite degli ostaggi, tentare il tutto per tutto per spezzare l'assedio.
La battaglia di ieri, finita con sei sequestratori uccisi dalla polizia sudanese che aveva intercettato il convoglio organizzato per il trasferimento dei turisti rapiti sembra solo un'anticipazione di quel che potrebbe accadere nelle prossime ore. Liberarli, patteggiando un salvacondotto con le forze di sicurezza? O giocarsi il tutto per tutto, alzando la posta del riscatto e usando gli ostaggi come scudi umani? È questo, probabilmente, il gioco perverso al quale stanno giocando i sequestratori: costringere le autorità nordafricane, pressate dalle diplomazie europee, a trattare. Uno scontro aperto, sembra minacciare il «mucchio selvaggio», potrebbe significare una decimazione dei prigionieri.
Ieri, tuttavia, qualcosa deve essere andato storto anche se i sequestrati - crede di sapere la Farnesina - non sono mai stati fisicamente coinvolti.
Le notizie provenienti dalla frontiera fra Sudan e Ciad - notizie frammentarie, confuse, talvolta contraddittorie - dicono che il convoglio dei banditi e dei loro ostaggi è andato a sbattere contro una pattuglia di soldati sudanesi, e in uno scontro a fuoco seguito a un inseguimento, sei banditi sono stati spazzati via dal fuoco dei gendarmi.
Quale sia stata la dinamica dello scontro a fuoco, le autorità sudanesi non hanno detto. Sta di fatto che nel culmine della battaglia altri 35 uomini armati sono arrivati con alcuni fuoristrada dal Ciad e con una fortunata azione di commando, mentre i loro compagni tenevano impegnati i soldati, hanno portato via i 19 ostaggi - cinque dei quali sono italiani.
I sei ribelli uccisi, par di capire, facevano parte di un gruppo di otto stivati su un veicolo che faceva da «apripista» alla carovana con i sequestrati. Quando i banditi hanno capito di essere caduti nell'agguato tesogli dalle forze sudanesi si sono dati alla fuga, sparando all'impazzata e trascinandosi appresso, come una volpe i cacciatori, i soldati che avevano visto sfumare l'effetto sorpresa. Sei degli otto sequestratori a bordo dei veicolo sono morti, come si è detto. Ma la loro mossa ha consentito al resto della colonna, e ai rinforzi sopraggiunti poco dopo dal vicino confine col Ciad, di sganciarsi e di sparire ancora una volta col loro carico prezioso.
Un portavoce dell'esercito sudanese ha detto che anche il capo dei rapitori, di nazionalità ciadiana, è stato ucciso nello scontro. Che i rapitori fossero stati intercettati, e si aspettasse il momento opportuno per tentare un'azione di forza, lo ha confermato indirettamente il consigliere della presidenza sudanese Mahjoub Fadl Badri, secondo il quale le forze di sicurezza sudanesi «avevano seguito le tracce dei rapitori dalla regione del Jebel Aounat e li hanno incrociati alla frontiera con il Ciad».
È una conferma, il racconto di Fadl Badri, di quel che si diceva nei giorni scorsi. E cioè che Lorella Paganelli, Giovanna Quaglia, Walter Barotto, Mirella De Giuli e Michele Barrera (insieme con i cinque tedeschi, la rumena e le 8 guide egiziane catturati) erano stati trasferiti quantomeno inizialmente nella zona occidentale del Jebel libico, anche se Tripoli ha smentito venerdì sera la circostanza. Ma che successivamente, assottigliandosi le scorte di acqua e di cibo, i banditi avevano deciso di fare rotta su una provincia del Ciad dove sapevano di poter contare su appoggi logisticamente essenziali.
Il dramma dei diciannove ostaggi, catturati da banditi senza frontiere che si muovono come ombre in una delle zone più aride, impervie e lontane dalla civiltà che si possano immaginare, dunque continua. E non bastano le rassicurazioni della Farnesina (secondo la quale, come detto, gli ostaggi non sono stati coinvolti nella sparatoria) per sollevare gli animi. La storia continua a essere brutta, complicata, difficile.
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