Francesca Angeli
da Roma
LUdc compie un altro passo verso la rottura con la Casa delle libertà. Forse non è ancora quello definitivo ma lo strappo questa volta non appare facilmente ricucibile.
A dare una potente accelerazione al peggioramento dei rapporti tra Forza Italia e centristi questa volta è Armando Dionisi, capo delegazione dellUdc al Parlamento europeo e capo della segreteria politica del partito di Pier Ferdinando Casini e Marco Follini. Alle parole del premier sulla sua ricandidatura alla leadership Dionisi replica in modo inequivocabile. «Per Berlusconi è un sacrificio? Nessuno glielo ha chiesto: è una sua scelta - dice aspro Dionisi -. Noi abbiamo posto un problema politico ma non abbiamo ottenuto risposta». A potenziare loffensiva di Dionisi ci pensa il vicepresidente del Ppe, leuroparlamentare Lorenzo Cesa, fidatissimo di Follini. «Negare che esista il problema della leadership è un errore che nessuno dovrebbe commettere», dice Cesa.
Un colpo basso per il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, che nei giorni scorsi si è personalmente speso per riannodare i fili dellalleanza, andando a trovare Follini. Un incontro che gli aveva dato buone speranze «per un futuro insieme allUdc», come aveva dichiarato ieri proprio al Giornale. Adesso persino il solitamente pacato Bondi, alza i toni. «Le parole di Dionisi riferite a quanto ha detto il presidente Berlusconi sono penose dal punto di vista umano prima ancora che da quello politico - dice -. Voglio sperare che i vertici dellUdc prendano le distanze da questo modo inaccettabile di porre le questioni». Certo non si può dire che le taglienti affermazioni di Dionisi arrivino come un fulmine a ciel sereno. Per mesi Follini e Casini hanno giocato ai due compari nei confronti dellalleanza con Berlusconi. Follini faceva il duro e colpiva pesante. Poi arrivava Casini, il buono, elargendo consigli per calmare le acque. Alla fine anche il presidente della Camera era uscito allo scoperto, chiedendo una «discontinuità col passato». Insomma è dalla sconfitta del centrodestra alle regionali che i centristi lavorano a una exit strategy che comporti il minor danno possibile, anche se per abitudine preferiscono conservare sempre una porta aperta, magari soltanto uno spiraglio, verso lalleanza col centrodestra.
Nelle ultime settimane tutte le voci che si levano dallUdc, anche quelle appartenenti a chi una volta veniva definito berlusconiano, segnalano una sempre maggiore insofferenza verso gli alleati della coalizione, in particolare verso Forza Italia. Il ministro dei Beni culturali, Rocco Buttiglione, chiede «un segnale di svolta politica a Berlusconi», ipotizzando che la sua leadership possa essere legittimata in un congresso del nuovo partito di centro. Il viceministro alle Infrastrutture, Mario Tassone, insiste sulla necessità di «un dibattito democratico».
LUdc, che ha fatto la sua dichiarazione di indipendenza dalla Casa delle libertà per bocca di Follini al congresso di luglio, si è sempre più convinta di poter camminare da sola. La voglia di volare dei centristi è lusingata da sondaggi come quello di Renato Mannheimer, pubblicato due giorni fa dal Corriere della Sera. Se corresse da solo il partito di Casini perderebbe un congruo numero di seggi rispetto a quelli presi con Berlusconi ma si attesterebbe intorno ad un buon 6 per cento. Si tratta di «un sogno di una notte di mezza estate» commenta sarcastico Fabrizio Cicchitto. «Molti elettori moderati che oggi votano per lUdc come partito collocato nel centrodestra lo abbandonerebbero qualora esso si rendesse protagonista di una manovra diversiva di questo tipo» osserva il vicecoordinatore di Forza Italia, che ricorda a Dionisi come An e Lega abbiano confermato la loro fiducia nella leadership di Berlusconi. A Cicchitto replica il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volontè.
Non siamo ancora alla separazione ma alla consensuale manca un soffio.
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