Arona - È l’ultima chiamata e Umberto Bossi lo sa. È l’ultima chiamata perché il suo popolo è stanco di aspettare, «federalismo subito o secessione» avvertono tutti qui ad Arona, 14.500 anime in quel di Novara, che in primavera sono andate alle urne e hanno votato tutte Lega, «siamo al 43 per cento, il Pdl qui è scomparso» dice orgoglioso il sindaco Alberto Gusmeroli. È l’ultima chiamata perché neppure l’anagrafe aspetta: la guerra di successione che nel partito è già iniziata da un po’ la dice lunga, ma la Lega è Bossi, senza di lui nessun obiettivo sarà più certo. Ora o mai più, e Bossi lo sa. Così, dopo tanti anni di lotta e di governo, mai come in queste ore la lotta e il governo coincidono e le sorti del federalismo si intrecciano con quelle del movimento, come a un punto di non ritorno. Deve essere così per forza, ora o mai più. «Il federalismo fiscale lo facciamo entro luglio, così le Regioni inizieranno a prendere un po’ di soldi che ora finiscono allo Stato» promette ai suoi dal palco il Senatùr. L’accordo con Pier Ferdinando Casini? «Non ce ne fotte niente di Casini, io non vado con chi la pensa al contrario di me, perché per fare la riforme occorre essere d’accordo». Muscoli e applausi. Poi però è un «sì», quello che ti dice il Senatùr a cena dopo il comizio, seduto a tavola fra il figlio Renzo e il governatore del Piemonte Roberto Cota, un piatto di penne alla salsiccia con Coca Cola, patate fritte masticando il sigaro, la calma per ragionare.
Se il patto con Casini, che qui sulle rive padane del lago Maggiore non a caso ha le sembianze del diavolo, fosse l’unico modo per portarla a casa, la madre di tutte le battaglie, ora perché non c’è più poi, ora perché non c’è più tempo? «Sì», risponde Bossi. Il problema è che «non mi fido, non bisogna fidarsi di Casini». Diavolo di un democristiano. Ma, appunto, con il diavolo si fanno i patti. E allora eccolo, il patto. «Prima passa il federalismo, poi si discute». È uno scambio? Bossi annuisce, dice un altro «sì». C’è l’estate per fare il federalismo, anzi c’è luglio, «poi andiamo al mare», «ora lo portiamo a casa e poi vediamo». Non a caso, aveva detto ai microfoni che l’ingresso dell’Udc al governo «è solo una brutta ipotesi, che ci fa solo perdere tempo». Aggiungendo che il tentativo del premier di sostituire la pattuglia finiana con quella centrista non è affare del Carroccio, «Fini è un problema di Berlusconi, affari suoi, è un suo amico».
La verità è che Bossi non vede un governo a rischio. «Hanno tutti troppa paura, anche Fini ha paura, perché se cade il governo poi si torna a votare», e non c’è crisi politica o economica che tenga, «se Berlusconi corre con noi vince di nuovo». Ma Bossi è la Lega, appunto, e se questa è l’ultima estate per portarsi a casa il federalismo, lui è un animale politico che sa trattare, chiedere cento per ottenere ottanta, in fondo oggi non sarebbero tutti federalisti se lui ieri non avesse minacciato la secessione. E allora ecco il federalismo fiscale ed ecco i ministeri al Nord, in autunno, avverte, faremo «una grande battaglia per portare a Torino, Milano e Venezia un po’ di ministeri che sono a Roma», mai smettere di puntare, rilanciare sempre.
La sua personale corsa contro il tempo, l’Umberto te la dice in una frase: «Ho sempre avuto paura a muovermi perché avevo paura che si mettessero a litigare». Per questo «non ho mai smesso di fare il segretario», per questo adesso che gli aspiranti successori affilano i coltelli lui dice: «Non vedo una guerra», ma lo dice come un imperativo, smettete di scannarvi. «Ci sono io» dice attorno al sigaro. Poi concede: «Non sono eterno». E detta la linea. Fra vecchi colonnelli come Roberto Calderoli e Roberto Maroni, giochi di potere di Rosi Mauro a Marco Reguzzoni, parvenu alla Francesco Belsito, nel mezzo Cota e Luca Zaia, i nuovi simboli del Nord, Bossi mette tutti a tacere. «Renzo sta crescendo rapidamente».
Il fu «trota» in fondo è già delfino da un po’, segue papà Umberto dappertutto, dalle cene ad Arcore agli incontri a Palazzo Chigi, dalle riunioni del partito ai palchi ruspanti delle feste padane.
La gente lo osserva in un misto di curiosità e insofferenza e il partito rischia l’implosione, perché vallo a dimostrare, a 25 anni, che hai la stoffa dell’Umberto. Se i colonnelli guerreggiano, la base rumoreggia preoccupata. Bossi lo sa. «Renzo è bravo, sta imparando. Cresce rapidamente».