Bocche cucitissime sui due giorni di conclave al Lingotto. La consegna del silenzio dà adito a due supposizioni: che lincontro voluto da Sergio Marchionne sia servito per far conoscere i 22 supermanager Fiat-Chrysler nominati il 28 luglio scorso (alcuni si sono visti per la prima volta); che, faccia a faccia tra manager a parte, il Gec (Group executive council) abbia di fatto rivisto i piani industriali alla luce dei mutamenti della situazione economica mondiale. Insomma, oltre alla definizione dei team che agiranno in Europa e nellarea asiatica, rispettivamente sotto la guida di Gianni Coda e dellamericano Mike Manley, e - forse - alla decisione su chi andrà a sostituire i rappresentanti dei governi Usa e canadese nel cda di Chrysler, il lungo Gec potrebbe aver rimesso a punto le strategie del gruppo automobilistico. Ed è proprio questo laspetto temuto dai sindacati.
Non è un mistero, infatti, che lincantesimo che ha messo in sintonia la Fiat di Sergio Marchionne con Cisl, Fim, Uil, Uilm e Ugl sia a un passo dalla rottura. Nessuna dimenticanza per quanto riguarda la Fismic di Roberto Di Maulo («va bene lipotesi Topolino - osserva - il cambio di prodotto produrrà più cassa integrazione per un bel po di mesi; del resto un piano industriale deve mettere in previsione delle modifiche») che, allinterno di questa «santa alleanza», sembra essere lunico a giustificare la sterzata del Lingotto.
Il nodo del problema è Mirafiori: quale sarà il futuro dello storico stabilimento Fiat di Torino se Marchionne, come ha già ipotizzato, trasferirà la produzione dei Suv Alfa Romeo e Jeep altrove? Il tutto, secondo le parole del top manager, a causa del rapporto sfavorevole tra euro e dollaro. Dopo lo «scippo» da parte della Serbia del piccolo monovolume L-0, sarebbe il secondo smacco per Mirafiori. I sindacati «amici» sono su tutte le furie e, seppur a denti stretti, cè chi fa capire che lincertezza sul destino della fabbrica, nonostante la conferma degli investimenti, rappresenterebbe un incredibile assist alla Fiom. «Si rischia - afferma Giovanni Centrella (Ugl) - di arrivare a farci dire che avevano ragione gli altri; per il sindacato sarebbe una sconfitta pesantissima. La verità è che ci troviamo di fronte a un altro piano della Fiat: alle chiusure di due impianti, Termini Imerese e Imola per Cnh, se ne aggiunge una terza, e cioè Avellino per Irisbus. A questo punto occorre che Palazzo Chigi rimetta le parti attorno a un tavolo. Fiat deve giocare a carte scoperte». Sulla stessa linea donda è il leader della Cisl, Raffaele Bonanni: «Abbiamo fatto laccordo sulla base dellinvestimento, se questo non si fa allora va rivisto anche laccordo».
A non convincere sindacalisti e osservatori, infatti, è il problema del cambio sfavorevole euro-dollaro. «Marchionne - sostiene un esperto di automotive - è chiamato a gestire tatticamente il piano in base ai mutamenti degli scenari e allandamento dei mercati. Ma i Suv dei segmenti B e C continuano a essere richiesti in Europa, se mai i problemi riguardano quelli più grossi e più indicati al mercato Usa. Il vero problema sono i modelli nuovi. A ottobre cesserà la produzione dellAlfa 159 e il Biscione resterà con unofferta limitata a MiTo e Giulietta, senza una vettura di classe superiore e con motorizzazioni ancora inadeguate per questo marchio. Mirafiori, inoltre, poteva benissimo ospitare anche la linea della Maserati prevista a Grugliasco, impianto di cui il gruppo poteva anche fare a meno vista labbondanza di siti in Italia e ora anche in America».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.