Roma - All’indomani del surreale voto al Senato sulla base di Vicenza, l’Unione accusa il colpo. E in poche ore si scatena uno scontro plateale tra moderati e radicali, innescato da Francesco Rutelli.
Di prima mattina Romano Prodi riunisce il Consiglio dei ministri, nega che ci sia crisi e mette agli atti un richiamo al «senso di responsabilità» di tutte le anime della maggioranza, invitandole a realizzare una «forte e autorevole unità sulla politica estera». Il Consiglio non è affollatissimo: manca Massimo D’Alema, in missione nel lontano Oriente; manca Clemente Mastella a casa malato. E manca il vicepremier Rutelli, anche lui messo al tappeto da una virulenta influenza contratta in India. Il malessere però non gli impedisce di far trapelare dalle pareti domestiche il suo pensiero, e i toni sono poco concilianti: «La misura è stata superata», avverte rivolto ai gruppi di sinistra dell’Unione. «Se il voto di ieri è stato un campanello d’allarme, è chiaro che deve essere l’ultimo», incalza, perché «una linea unilateralista e minoritaria non appartiene al governo». La politica estera, spiega, «è il cuore dell’intesa di governo: così è per le missioni all’estero e per le alleanze militari e le loro implicazioni operative». Su questi temi «non si arretra di un millimetro: dopo che il premier ha sciolto il nodo sulla base di Vicenza e ha confermato la linea sull’Afghanistan, la maggioranza deve solo sostenerlo».
Un secco altolà, che invita il premier a chiudere preventivamente la porta ad ogni trattativa ulteriore sui due nodi che mettono in fibrillazione l’ala sinistra della coalizione, il caso Vicenza e il prossimo rinnovo della missione a Kabul. E che scatena immediatamente la reazione furibonda di Rifondazione, Verdi e Pdci. Che d’altronde ha buon gioco a ricordare a Rutelli (e ai Ds) che nel voto di giovedì a Palazzo Madama sono stati i dissidenti ulivisti a mandare in tilt la maggioranza e a regalare quella che Anna Finocchiaro, capogruppo dell’Ulivo, ha riconosciuto come «una vittoria politica del centrodestra», facendo passare l’ordine del giorno della Cdl. «L’instabilità nasce solo ed esclusivamente dal centro dell’Unione», insorge il segretario Prc Franco Giordano. Il responsabile esteri del Pdci, Jacopo Venier, concorda: «La votazione di ieri al Senato dimostra che è dal centro che partono le manovre per indebolire e magari far cadere il governo. Il vice premier si schieri esplicitamente contro queste manovre e non attacchi chi lealmente difende il governo». In molti, dietro le parole di Rutelli contro la sinistra dell’Unione, intravedono il disegno di modificare il quadro politico, spostando l’asse verso il centro e depotenziando la sinistra radicale. «Se si aspira a cambi di maggioranza», è l’invito di Carlo Leoni, esponente del Correntone ds, «lo si dica apertamente. E si dica con chi e come si pensa di allestire nuovi ribaltoni».
A questo punto, reclama il Prc Gennaro Migliore, «serve un vertice politico della maggioranza», non solo sulla politica estera ma «su tutto». Il capogruppo verde Bonelli approva e rilancia: «Ci vuole subito un vertice di maggioranza e non solo sulla politica estera, ma anche su altro. A cominciare dalla questione dei cambiamenti climatici».
Il vertice si farà, anche se difficilmente si occuperà di clima. Sarà martedì o mercoledì prossimo, al ritorno di D’Alema, e dopo l’ultimatum di Rutelli (assicurano dalla Margherita) le carte sono in tavola. Per il vicepremier, consultato ieri da Prodi che ha sentito anche D’Alema e Bertinotti, sulla politica estera non si può più trattare né tentennare: o la sinistra radicale sostiene lealmente il governo, vota compatta per l’Afghanistan e la pianta di chiedere ripensamenti su Vicenza, oppure «salta tutto». Prodi replica che lui sa «tenere la barra del governo ben dritta», e che «sulla politica estera non ci possono essere divisioni». Ma da Palazzo Chigi avvertono che non c’è alcuna intenzione di allargare la verifica ad altri temi, né di arrivare ad un redde rationem con la sinistra come chiede Rutelli.
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