nostro inviato a Londra
Lincontro con luomo più vecchio dEuropa doveva avvenire in un tranquillo appartamento in un villaggio nei pressi di Brighton, la Rimini britannica affacciata sulla Manica. Ma allultimo momento qualcosa è cambiato. «Henry sarebbe più contento se ci incontrassimo allaeroporto di Londra-Gatwick - mi ha spiegato al telefono con qualche imbarazzo Dennis Goodwin, il responsabile dellAssociazione dei veterani inglesi della prima guerra mondiale che si occupa di lui come farebbe un figlio -. Gli piace lidea di venire a Londra per incontrare un giornalista straniero. Ha quasi 112 anni, abbia pazienza... ».
Così ho ripreso il treno da Brighton ed eccomi in mezzo alla folla dellenorme aeroporto. Lo strano capriccio di Henry Allingham, il più anziano degli ultimi dodici superstiti della Grande guerra rimasti al mondo, mi dà da pensare: sarà anche vecchio come un patriarca, ma ha carattere da vendere. Chissà se ci troveremo in questo caos, piuttosto. Ma eccolo. Anzi, eccoli. Sono in quattro a far da scorta attorno a una sedia a rotelle sulla quale riconosco un uomo un po rattrappito, con un vistoso apparecchio acustico e una coperta sulle ginocchia. Mi faccio incontro, mi presentano: Dennis quasi gli grida in un orecchio che «è arrivato il giornalista italiano». Henry Allingham si scuote dal torpore, apre gli occhi grigi che nel 1916 hanno visto la battaglia dello Jutland e me li punta contro: è felice di vedermi, urla con una voce forte ma impastata dal profondo della sua sordità. Troviamo una saletta riservata, comincia lintervista.
Chiedo a Henry, come tutti lo chiamano familiarmente, cosa significhi oggi per lui la parola «guerra». Lui riordina i pensieri e io intanto lo squadro: curvo sulla sua sedia, il respiro faticoso, una sciarpa sulla camicia di flanella a quadrettoni, prostrato dallincredibile età eppure orgoglioso, con le sue medaglie appuntate sulla giacca, vicino al cuore. Osservo i dorsi delle sue mani, un unico ricamo di ematomi, le sue dita in parte fasciate. Penso alla sua fragilità fisica ed ecco che mi sorprende la sua voce, di nuovo forte anche se poco intellegibile. Parla tutto dun fiato, con uno sforzo estremo, gli occhi spesso chiusi. «Per ottantanni ho solo voluto dimenticarla, la guerra - dice -. Non ho detto una parola a nessuno. Ma poi Dennis otto anni fa mi ha rintracciato: ero uno degli ultimi veterani in vita, mi ha spiegato. E allora ho accettato di diventare un testimone. Di parlare per quelli che non possono più farlo perché sono morti. Loro hanno dato tutto e glielo devo. Siamo tutti in debito con loro».
A questo punto bisogna spiegare che Henry Allingham, «scoperto» da Goodwin nel 2000, è un fenomeno di vitalità. Sopravvissuto alla moglie e alle due figlie, ha abitato da solo fino a 110 anni, per poi trasferirsi in un istituto per reduci di guerra quando la vista e ludito hanno cominciato a tradirlo. Prende la sua missione molto sul serio. Tra i 110 e i 111 anni ha partecipato a quasi sessanta eventi pubblici: parla agli ex combattenti, agli studenti nelle scuole, alle commemorazioni dei caduti e in Inghilterra è unicona. Lo scorso novembre è andato in Francia per deporre fiori a un monumento di caduti della «sua» guerra.
Ma cosa pensa lex meccanico daviazione, volontario nel 1915 quando rimase orfano, imbarcato su aerei che ancora usavano i piccioni al posto della radio e su arcaici idrovolanti nel mare del Nord, dellidea stessa di guerra? «Non capisco perché oggi ce ne siano ancora. Oggi potremmo essere tutti uniti, la tecnica ci aiuta. Ai miei tempi era diverso. Difendevamo il nostro Paese, era giusto farlo. Ora però non ha senso». Parla accalorato, ma ogni tanto qualcosa gli trasale nei polmoni, il respiro si ferma, chiude gli occhi. I suoi custodi lo osservano con apprensione, ma lui non se ne accorge. Riparte come se niente fosse. «I più giovani devono ricordare. Sapere che non volevamo la guerra, ma abbiamo risposto a una chiamata per amor di patria».
Allingham, nato il 6 giugno 1896, ha visto cose remotissime: tra i suoi ricordi più antichi cè la sfilata dei reduci dalla guerra anglo-boera, nel 1902, e giocatori di cricket che sono i trisnonni di quelli odierni. È ancora oggi un tradizionalista, tutto «re e patria», come era tipico della sua generazione: non ha mai voluto seguire i suoi discendenti (un suo pronipote è già nonno!) negli Stati Uniti perché è molto legato allInghilterra. Cosa pensa del mondo di oggi? È diverso da come, bambino, se lo immaginava cento anni fa? «Pensavo solo al mio futuro, non a quello del mondo. Non avrei mai creduto di arrivare a questa età. Avrei preferito andarmene un po prima, a 96-97 anni - dice ridacchiando con gli occhi socchiusi - ma sono qui». Ha ancora delle curiosità, dei desideri? Quando Dennis gli ripete la domanda nellorecchio il volto pallido gli si illumina: «Io sono un privilegiato, ho un angelo posato sulla spalla. Vado in posti dove mai avrei creduto di poter andare». Si riferisce al suo ruolo di testimone della Grande guerra, che due settimane fa lo ha visto tra laltro ospite donore alla festa per i 90 anni della Royal Air Force, di cui lui è membro fondatore. Poi dice parole toccanti: «Il mio mondo di oggi è molto piccolo. Così lo riempio con il mio passato, che è stato straordinario. Mi portano a parlare con i piloti militari di oggi e io li ascolto e racconto loro di ciò che facevamo. È bellissimo e io sono felice».
Comprendo che Allingham è a suo modo un saggio, un uomo che ha un passato di cui è fiero e pago («non ho nessun rimpianto») ma vive nel presente. È un personaggio storico, ormai, e questo lo inorgoglisce: non perde però il senso dellumorismo, anche quando gli chiedo di parlare della morte. «Lassù qualcuno ha perso i miei documenti - dice con voce chioccia - ma so che prima o poi verrà il momento. Io sono pronto. Mi sento sempre come sulla cresta di unonda, ma non ho paura. Sono grato di essere arrivato a questa età senza sofferenza».
Cosa gli piace della sua vita quotidiana, gli chiedo. «Mangiare - risponde sicuro, ridendo -. È quel che mi è rimasto. Ho buona salute e buon appetito, sono fortunato. Mi piacciono le ostriche affumicate... » Poi la domanda inevitabile: ha un segreto per la sua longevità? Allingham è famoso per aver risposto una volta a questa stessa domanda: «Whisky, sigarette e donne senza freni», ma scherzava. Oggi è più serio: «Sono stato sempre un tipo molto disciplinato - risponde - questo mi ha aiutato. Ma se potessi andrei ancora in motocicletta, questo sì: ho cominciato nel 1914». Dennis aggiunge che a cento anni suonati «Henry pedalava ancora su una mountain-bike». Non stento a crederlo. Non smetterebbe mai di parlare. Ma ora Allingham è stanco, e forse ha anche fame. Lintervista è finita.
Scattiamo due foto insieme: lui è contento di posare per il Giornale tenendo in grembo limmagine di un giovanissimo se stesso in uniforme, scattata più di novantanni fa. Stringo le sue mani levigate e appena tiepide.
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