A la maison. A casa. La nazionale di Francia ha concluso il suo mondiale. Una catastrofe. Eliminata, ultima del suo girone, battuta e umiliata dal Sudafrica (che ha vinto inutilmente 2 a 1 e spinge il Messico negli ottavi), Gourcuff espulso, Domenech che, a fine gara, si rifiuta, sdegnato e villano da copione, di stringere la mano del collega Parreira, che altro poteva accadere?
Tutto, niente: fine di una squadra presuntuosa, fine di un allenatore arrogante e inutile, fine di una storia gloriosa incominciata con il titolo europeo conquistato a Parigi nell’Ottantaquattro al quale seguì un lungo periodo di buio anonimato, di nuovo esaltata dal mondiale del Novantotto, celebrata con un altro trionfo continentale nel Duemila, lentamente, inesorabilmente spenta con il tramonto dei suoi campioni, da Zidane a Vieira, da Deschamps a Desailly, da Thuram a Sagnol, a Barthez e, per ultimo, Thierry Henry. Quasi un simbolo, un segnale premonitore di questo epilogo. Il suo fallo di mano clamoroso nel play off contro la Repubblica d’Irlanda, aveva portato al gol di Gallas, alla promozione dei francesi e all’eliminazione della nazionale di Trapattoni, è stato l’ultimo colpo di fortuna rapinata e di raccomandazione volgare dei cosidetti vicecampioni del mondo.
Ieri Henry è entrato in partita quando ormai la squadra era a pezzi e ha praticamente concluso la propria carriera in nazionale, incominciata quasi tredici anni orsono, l’undici ottobre del Novantasette, proprio contro l’Africa del Sud. La sua parabola è la parabola della Francia, alloro e polvere, regno e foglie morte. Raymond Domenech ha assistito in piedi, a bordo campo, invecchiando di un anno ad ogni azione dei Bafana Bafana. Non ha riempito di smorfie il viso, non ha agitato le mani, non ha strillato all’arbitro, ha pensato alle stelle che stavolta non lo hanno aiutato, ha pensato ai propri errori, alla superbia inutile, a un futuro professionale che sembra non esistere più per lui e ha finito la propria cronaca, mai storia, con un gesto irrispettoso nei confronti del tecnico brasiliano Parreira, cittì sudafricano.
Aveva provato a fare l’allenatore, Domenech, punendo con la panchina mezza squadra, presentando una formazione inedita, cercando di capire dopo non aver capito nulla. Ha perso, dopo mezzora, Gourcuff espulso dal colombiano Ruiz per una manata su Sibaya, un contatto non violento ma che, per le direttive della commissione medica della Fifa, rientra nella categoria degli interventi pericolosi per l’incolumità dei calciatori. La vuvuzela agonistica dei sudafricani, veloci, reattivi, anche tecnicamente abili, ha accentuato il divario tra le due squadre, gli errori parrocchiali del portiere Lloris sul primo gol di Khumalo e di Clichy sul raddoppio di Mphela, hanno distrutto la squadra che si è come sgonfiata sui propri limiti. La personalità (!) dimostrata nell’ammutinamento si è trasformata in una povertà di spirito e di solidarietà, tipica dei falsi eroi.
Il resto è stato uno strazio, di gioco, di idee, di carattere, la totale abulia di Ribery, un mezzo campione quando non ha un badante che lo protegga, l’assenza di una disciplina di gruppo, di un vero capitano, Evra (bontà sua, ha annunciato che lui e i compagni rinunceranno ai premi legati agli introiti del marketing) in castigo sostituito da Diarra (che, pur restando in campo, quando è entrato Henry gli ha passato la fascia!), l’assoluta incapacità di Domenech di gestire l’emergenza e di leggere le partite, l’anarchia dello spogliatoio, il caos della federazione, l’ombra fastidiosa di Zidane con i suoi commenti acidi e inopportuni, sono state le fotografie di questo album orribile che adesso Laurent Blanc dovrà buttare nella Senna, magari con qualche drastica bonifica.
I francesi sono abituati alla rivoluzione. Qualcuno a Dublino starà brindando. Domani è san Giovanni, si dice che non faccia inganni. Mi piacerebbe vedere la faccia di Trapattoni.
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