Ultras, i coltelli erano dei laziali

La procura di Arezzo: aggressione ai danni degli juventini, gli amici di Gabbo erano armati. E secondo "Annozero" preparavano un agguato. L’agente che ha ucciso il tifoso indagato per omicidio volontario

Ultras, i coltelli erano dei laziali

Roma - Coltelli, sassi, biglie e pure il manico di un ombrello. Queste le «armi» ritrovate nell’area di servizio di Badia al Pino, questi gli attrezzi che, secondo il procuratore capo di Arezzo Ennio Di Cicco, gli amici di Gabriele Sandri hanno usato per aggredire i rivali juventini incrociati davanti all’Autogrill. I quattro laziali, secondo una ricostruzione fatta da Annozero, avrebbero aggredito con un agguato gli altri ultrà. Sempre secondo le notizie riportate dalla trasmissione tv di Michele Santoro, nella giacca di Gabriele Sandri sarebbero stati trovati alcuni sassi. I suoi amici, spiega il magistrato, «sono accusati di «porto d’oggetti atti a offendere ed eventualmente di lesioni, ma questo lo devo ancora accertare». Certissima invece la dinamica della scaramuccia: zebre vittime, biancazzurri aggressori. E Gabbo? Ha partecipato pure lui alla zuffa? «Non lo so - risponde De Cicco -. Del resto, che importanza può avere? È un episodio collaterale, minore, un filone d’indagine che potrebbe essere stralciato. Una cosa sono le colluttazioni tra i tifosi, un’altra la morte del ragazzo».

Guai seri intanto ad Arezzo per Luigi Spaccarotella, accusato non più soltanto di omicidio colposo ma del più grave omicidio volontario. Sono tre ormai i testimoni oculari che hanno visto l’agente a braccia tese in posizione di tiro, come al poligono. E le perizie balistiche non lasciano spazio a dubbi: il proiettile che ha frantumato il lunotto della Megane e si è conficcato nel collo di Gabriele ha percorso una traiettoria parallela all’asfalto. Nessun colpo in aria, niente rimbalzi e così il pubblico ministero Giuseppe Ledda non ha potuto far altro che aggiornare il capo d’imputazione. Omicidio volontario significa che il poliziotto ha fatto fuoco per colpire. Lui però interrogato dagli inquirenti continua a negare tutto. «È stato un fatto del tutto accidentale - dice il suo avvocato Francesco Molino -. Luigi ripete la sua versione dei fatti e smentisce di aver sparato direttamente, cioè mirando alle persone».

Spaccarotella evidentemente non ha convinto i magistrati, che hanno ricostruito i fatti più o meno così. Prima la scazzottata, breve e intensa. Poi i tifosi, impauriti dalle sirene e forse dalla prima pistolettata, smettono di darsele e scappano. Gli juventini subito, i laziali ci mettono di più e vengono raggiunti dal secondo colpo dell’agente che magari pensa che sia in corso una rapina o, chissà, lo dice lui, si piega per cercare di leggere la targa. Il risultato non cambia: la morte di Gabbo, seduto, forse addormentato, sul sedile posteriore.

«L’agente della stradale ha sparato ad altezza d’uomo, questo è un dato di fatto - dice Di Cicco -. E, a meno che non ti abbiano minacciato e puntato addosso una rivoltella, tu non puoi sparare ad altezza d’uomo. Il poliziotto ha sostenuto di aver inciampato, ma questo non risulta». La posizione di Spaccarotella appare dunque compromessa, anche se resta da capire perché si sarebbe comportato in una maniera che pure il capo della polizia Antonio Manganelli ha forse eufemisticamente definito «maldestro». «Quali che siano i motivi - commenta il procuratore - è stato un atto imperdonabile».

Spaccarotella rischia quindi ventun anni di galera. Eppure non finirà dentro, almeno per ora. «Allo stato attuale - spiega Di Cicco - non ci sono gli elementi per un provvedimento di custodia cautelare. In base alle regole non esiste la possibilità di un arresto. Dove stanno infatti il pericolo di reiterazione del reato, di fuga, di inquinamento delle prove?».

Ma per i difensori «nella ricostruzione c’è qualcosa che non torna».

«Rispetto all’accusa più grave - spiega l’avvocato Molino - noi siamo convinti dell’innocenza. Ci difenderemo a denti stretti, stiamo lavorando a pieno regime e i riscontri probatori dimostreranno la legittimità delle nostre posizioni». E l’agente? «Lui è rimasto esterrefatto, incredulo».

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