Stefano ZecchiIl romanzo di Alfred Döblin, Berlin Alexanderplatz (1929); il quadro di George Seurat, Banlieue (1882-83); il complesso di case popolari a Vienna, Karl Marx Hof (1928-30): mettiamo insieme queste tre opere e chiaramente comprendiamo come le periferie siano un'idea violenta e volgare, nata dalla testa di chi pensava che la modernità tecnologica e la coscienza di classe operaia fossero il motore inarrestabile del progresso della storia. Döblin ci racconta di una città in cui gli amministratori, affascinati dalle innovazioni scientifiche, trasformano il tessuto urbano, immaginando grandi aree dove si potevano concentrare gli sfruttati dal capitalismo. Il quadro di Seurat mostra lo squallore della banlieue; il Karl Marx Hof, fiore all'occhiello della Vienna rossa, concentra, in un alveare di 1.382 piccolissimi appartamenti, operai e proletariato urbano, dove tutti insieme avrebbero potuto sviluppare la propria coscienza rivoluzionaria. Nel secondo dopoguerra, le periferie delle grandi città, progettate da illustri architetti, tutti con il cuore a sinistra, ma che ben si sono guardati dall'andare ad abitare in quello squallore da loro ideato, sono espressione della sintesi tra speculazione edilizia, ideologia salvifica del proletariato, funzionalità dell'abitare. Bandita la bellezza, termine che fa orrore all'architetto modernista: bandito il rispetto della vita degli umili. In quell'annientamento della bellezza, cresce la disperazione, la violenza, la delinquenza, e l'unica speranza è fuggire.
Assurdo pensare di potere convertire le periferie in luoghi umani: chi ha quest'illusione faccia due passi per il Corviale, il Gratosoglio, «la città di Gropius». Periferie che andrebbero rase al suolo, e i loro progettisti che andrebbero messi sotto processo .- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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