Il primo tirannosauro dice al secondo: «Voglio scrivere il miglior racconto di tutti i tempi. S’intitola... be’, come si intitola non lo so, ma ho una premessa fantastica. È un mondo in cui tutti sanno come moriranno». Ora, sorvolando sul fatto che i dinosauri sono ormai tutti morti da un pezzo, peraltro senza sapere perché (non lo sappiamo nemmeno noi umani, se è per questo: impatto di un super asteroide con la Terra? tempesta solare? misterioso virus? predatori non identificati? etc), è bastata quella battuta di un fumetto messo on line su qwantz.com nel dicembre 2005 per scatenare un «progetto» collettivo composto da un esercito di autori, ben 675, felicissimi di abboccare all’amo del geniale spunto immerso dai tre sodali Ryan North, Metthew Bennardo e David Malki nell’oceano di Internet.
«Vai dal dottore, fai le analisi del sangue, e poi una macchina sputa un foglietto con su scritto “esplosione” o “annegato”, oppure “mela avvelenata”», prosegue il primo tirannosauro. Ed ecco già pronto - dottore a parte - il filo conduttore dei 34 racconti, la crème de la crème, riuniti in La macchina della morte (Guanda, pagg. 552, euro 19, traduzione di Giovanni Garbellini). Il deus ex machina e filo conduttore delle narrazioni è proprio quell’aggeggio infernale che seduce irresistibilmente uomini e donne di tutte le età e le classi sociali.
L’assunto, se non avesse un esito tragico, sarebbe esclusivamente comico, indipendentemente dai registri scelti per le disavventure dei protagonisti, dalla ragazzina tutta presa dai primi flirt fino ai sopravvissuti a una guerra apocalittica. E comico, oltretutto, in due sensi. Da un lato c’è infatti l’assurdità del voler conoscere il proprio destino racchiuso nella goccia di sangue che la Moira fantascientifica ti succhia da un dito come fosse una vampira a dieta. Per alcuni, è una tentazione troppo forte, che si maschera, inconsciamente, dietro il desiderio, vecchio come il mondo e come la storia della letteratura, di esorcizzare il Fato. Dall’altro, ci sono gli scherzi che ogni linguaggio, anzi, ogni semplice, singola, banale parola, fanno a chiunque li prenda troppo... alla lettera. La morte, infatti, mostra di avere molta più fantasia dei suoi «interlocutori» (o dovremmo dire «clienti», visto che per ottenere l’agognato bigliettino occorre pagare?) e mischia le carte della semantica barando a più non posso. Poniamo che la sentenza sia «barca»; ebbene, non basta evitare di uscire per mare: può accadere d’essere investiti da un rimorchio che trasporta un motoscafo; se stai lontano da ogni «mazza», sia quelle da golf, sia quelle usate dai carpentieri, ecco che un marito geloso ne impugna una a caso e la usa per spaccarti la testa; se sei un tossicodipendente, ti viene naturale far di tutto per dintossicarti, alla luce di «buco», e non ti verrebbe mai in mente di diffidare dei buchi nel selciato.
Senza contare poi l’opposizione della setta millenaristica degli Anti-Fatisti; la possibilità di lasciare questo mondo a causa della «caduta» (sì, ma dei capelli: morire di calvizie, insomma); e persino l’eventualità che la Macchina della Morte dica la verità fingendo di mentire. Esattamente come nel «paradosso del mentitore» del cretese Epimenide (VI secolo a.C.
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