Unicredit, ricetta anti-crisi: taglia e torna a fare la banca

nostro inviato a Vienna

Sempre più banca delle famiglie e meno investment banking, taglio dei dipendenti nella Vecchia Europa e cessioni di attività non strategiche: Unicredit non prevede altre svalutazioni e conferma gli obiettivi a fine anno, ma nel nuovo piano strategico triennale che accompagnerà il gruppo fino al 2010 si vede la profonda impronta lasciata dai cingolati dei mutui subprime sul terreno del credito internazionale.
Il «back to basic», ovvero il ritorno alle origini, è il messaggio più rilevante lanciato ieri alla comunità finanziaria riunita a Vienna dall’ad Alessandro Profumo. Partendo dal presupposto che nei momenti di tensione dei mercati, le banche con una forte rete e «ricavi diversificati» affrontano meglio la crisi, il gruppo adotta una duplice strategia: punta con determinazione al Centro-Est Europa, dove è prevista l’apertura di altre 1.300 filiali (con 11.500 occupati in più), mentre a occidente il cammino passa da interventi di razionalizzazione, efficienza e controllo dei costi. A partire dal taglio di 9mila dipendenti (compresi i 5.800 già noti e legati a Capitalia) in Italia, Austria e Germania. D’altra parte i ricavi del gruppo nell’area Est cresceranno del 19,3%, contro il 3% preventivato nel vecchio Ovest. Il che riflette le dinamiche proporzionalmente analoghe del prodotto interno delle due diverse zone d’Europa.
E basta con lo shopping: Unicredit «non è più focalizzata sulle acquisizioni, è venuto il momento di estrarre valore dal gruppo», ha detto il presidente Dieter Rampl.
In Piazza Affari la reazione alla svolta commerciale di Unicredit è stata però brusca: complice il giovedì nero dei mercati, la superbanca ha ceduto il 4,3%, sotto i 4 euro. Ma Profumo non si è scomposto, definendo «emozionale» la risposta degli investitori e invitando ad attendere la «reazione complessiva». Il gruppo paga, inoltre, lo «svantaggio competitivo» di essere il primo a esporre il piano dopo la bufera dei subprime. E sebbene le promesse siano sotto le attese, resta da capire «se il consensus è in linea con la realtà del mercato». Come dire: se qualcuno non si è ancora accorto che la situazione è cambiata, lo farà con il tempo. In questo nuovo mondo Unicredit - sembra dire Profumo - conferma comunque i propri obiettivi. Anche se questo, almeno per ora, sembra non bastare.
Quanto al capitolo cessioni, Unicredit conta di vendere alcune attività non strategiche, tra cui l’austriaca Dreibank, ma esclude di rinunciare ai fondi Pioneer. Al contrario il risparmio gestito è «un’attività strategica» e se ci fossero possibilità «di accrescere il suo valore potremmo considerarle», ha aggiunto Profumo, anche se «oggi non mi sembra il momento».
Alle domande più «politiche» e finanziarie, Profumo non poteva non rispondere tenendo fede alla linea fin qui seguita di mantenere le distanze dal potere fine a se stesso, dai salotti e dagli intrecci. A maggior ragione nel giorno in cui il suo Unicredit torna a puntare sull’attività tradizionale bancaria. Per cui, sulla possibile uscita dal capitale di Mediobanca, non ha escluso nulla: «Non lo so, vedremo». Ma ha anche tenuto a precisare che i timori sulla governance delle Generali, a suo tempo espressi dal presidente di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli dopo l’annessione di Capitalia da parte di Unicredit, erano «infondati».
Tornando al piano di Unicredit, il new deal prevede che l’istituto aumenti le proprie quote di mercato strappandole alla concorrenza, ha aggiunto Profumo, anche perché in Europa non ci sono grandi «banche commerciali così in difficoltà» da convincere gli azionisti a passare la mano.

Per contro, le difficoltà a reperire risorse accusate da diversi istituti minori (come le Landsbank in Germania o alcuni gruppi in Europa dell’Est) consegna un «vantaggio competitivo» a Piazza Cordusio nella conquista di nuovi clienti.

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