Politica

Unione, la Quercia blocca il Prodi pigliatutto

I Ds minimizzano: troveremo una buona soluzione

Laura Cesaretti

da Roma

«Tutto falso», giurano al Botteghino. Dal quale ieri è partita una secca nota di smentita del capo-ufficio stampa della Quercia, Gianni Giovannetti, con cui si nega l’esistenza (sostenuta dal Riformista) di una lettera spedita da Fassino a Prodi per sollecitarlo a rinunciare all’idea di fare il capolista unico dell’Ulivo in tutta Italia. «Fassino non ha mai scritto a Prodi - si assicura - e in nessuna sede si è discusso ancora dei criteri e delle scelte per la formazione delle liste dell’Ulivo».
Due affermazioni esatte: il segretario ds non ha scritto al candidato premier («Figuratevi se è così poco furbo da mettere per iscritto una cosa del genere», fanno notare in casa ds), e in nessuna sede formale la questione dei capilista è stata ancora discussa. Ma il problema esiste, eccome. Dopo le primarie, Romano Prodi ha fatto sapere che è sua ferma intenzione di guidare la lista dell’Ulivo in tutte e ventisette le circoscrizioni elettorali della Camera. Proprio come farà Berlusconi. Fassino sta cercando di convincerlo che non è possibile chiedere a lui e a Rutelli una simile rinuncia. La faccenda, confermano dallo staff prodiano, è stata al centro di un recentissimo colloquio tra i due. Il leader della Quercia, premettendo di parlare anche «a nome di Francesco Rutelli», avrebbe insistito per ridurre Prodi a più miti consigli. «È necessario garantire la visibilità dei principali leader», ripetono i fassiniani. La dalemiana Velina Rossa sosteneva ieri che Fassino avrebbe avanzato all’irremovibile candidato premier un’ipotesi di compromesso: una «testa di lista composta da Prodi, Fassino e Rutelli in tutta Italia». Proposta sbagliata, perché «destinata a provocare polemiche in sede locale». E in effetti sarebbe difficile far digerire a figure di primo piano come D’Alema, per esempio, di fare il quarto in lista nelle Puglie dopo i segretari. Ma dal Botteghino si smentisce l’ipotesi, e si assicura che «insieme a Romano riusciremo a trovare una soluzione equilibrata». Anche perché, si spiega, «il pacchetto dei potenziali capilista è ristrettissimo: Fassino e Rutelli, D’Alema, e magari Marini e Bersani». I prodiani, però, liquidano la faccenda: «Tutta questa bagarre è una follia. Se si apre la discussione sui capilista non ne usciamo più: perché Rutelli sì e Di Pietro no, Fassino sì e la Sbarbati no? Anche loro sono segretari di partiti dell’Ulivo, no? E Parisi, Violante, Castagnetti, Angius?». Il Professore è deciso a tagliare la testa al toro «al più presto»: Prodi capolista ovunque, e gli altri saranno secondi, uno per circoscrizione. Anche perché con la nuova legge i nomi dei candidati non compariranno neppure sulla scheda, quindi «stiamo parlando di un problema inesistente». I margini di trattativa, a questo punto, sembrerebbero assai risicati. Anche se, fa notare un dirigente di primo piano della Margherita, «un argomento a Prodi lo si potrebbe opporre: non è stato lui a dire che era una presa in giro la candidatura in tutta Italia di Berlusconi alle Europee?».
Resta però da vedere se Rutelli farà da sponda a Fassino in questa vertenza. Il leader della Margherita, che pure qualche settimana fa aveva posto il problema, in questi giorni si guarda bene dall’esporsi sull’argomento. E i suoi fanno sapere che non è interessato al «problema di Fassino», e sarebbe pronto a dare via libera al Professore. Spostando intanto il confronto con la Quercia sul terreno accidentato del programma, come dimostra il «Big Talk» organizzato dai Dl: una sorta di convention «riformista» dove mettere a punto le proposte di governo dell’Ulivo. I ds sono stati invitati a partecipare, «per cominciare ad avvicinare le idee visto che siamo nella stessa lista», spiega Dario Franceschini. «Un segnale di distensione» dopo lo scontro sulla Sicilia, apprezzano ufficialmente i ds.

Ben sapendo che il ramoscello d’ulivo è un’arma a doppio taglio, e che i Dl sono intenzionati a «incalzare la Quercia per evitare che ricada nel vecchio vizio di non avere nemici a sinistra, e di trattare in separata sede con Rifondazione», spiega Fioroni.

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