da Milano
«Ti dico a che punto siamo, e poi vediamo se Massimo deve fare una telefonata». Giovanni Consorte parla senza troppe preoccupazioni, perché «per chi ascolta non me ne frega un c...». Nei giorni in cui Unipol lancia la scalata alla Bnl, quello di Massimo D’Alema è un nome da spendere. Così, per conoscere le intenzioni dei «contropattisti», «Massimo fa una telefonata e a quel punto abbiamo le prove che questi hanno lavorato su due fronti», mentre il senatore diessino Nicola Latorre vedrà «di parlare con Massimo, poi ti informo». E, dal tenore delle comunicazioni, emerge un ministro degli Esteri molto attenzione agli sviluppi di un’avventura finanziaria che trova qualche ostacolo di troppo. Perché, come dice Consorte a Piero Fassino, «qui sono tutti falsi come Giuda. Cioè, Banca Intesa, ho parlato con Fazio, parlo con Bazoli, eccetera, ci hanno detto di no. Bisogna ricordarsi, poi». Così interessato, D’Alema, che «a Massimo - dice Latorre - alla fine gli faccio venire un infarto, perché una volta gli dico che non si fa più, una volta gli dico che si fa...». Ma il ministro non è solo «evocato». È lui - nella ricostruzione del gip Clementina Forleo - a informarsi direttamente dell’operazione con l’allora presidente di Unipol, a intercedere con Gaetano Caltagirone e Vito Bonsignore perché questi cedessero le proprie quote in Bnl a Unipol, e a raccomandarsi con Pierluigi Stefanini - allora presidente di Hopa (la holding che attraverso la Finsoe controllava la compagnia assicurativa), poi successore di Consorte alla presidenza di via Stalingrado - di «fare bene i conti».
La conversazione è del 14 luglio 2005. Sono le 9.46, Consorte, al telefono con l’attuale ministro degli Esteri, passa il cellulare a Stefanini.
(Stefanini): «Scusa se mi intrometto, eh!».
(D’Alema): «Ciao caro».
(S): «Stai bene?».
(D): «Sì, ringrazia i nostri amici, eh!».
(S): «Hai visto questi... questi poveri straccioni cooperative, hai visto cosa stanno combinando?».
(D): «Eh, ma voi siete grandi, io lo dico sempre. Vi ho difeso in tutte le sedi».
(S): «Eh, sì».
(D): «Una grande realtà».
(S): «Dai, dai, è una bella operazione questa, caro».
(D): «Fate bene le... i conti, eh! Non sbagliate i conti».
(S): «Eh! Quello è fondamentale. Va bene».
(D): «Sì».
(S): «Okay».
(D): «Comunque, ho fatto un po’ di chiacchiere, anche milanesi... insomma, alla fine se ce la fate poi vi rispetteranno».
(S): «Sì, sì. Infatti».
(D): «Adesso sparano, perché è chiaro che... eh...».
(S): «Eh».
(D): «Il fatto che arrivi qualcun altro nel salotto buono dà fastidio».
(S): «Dà fastidio, sì».
(D): «Ma il giorno che siete dentro, vi rispetteranno».
Il 6 luglio, il senatore Latorre chiama Consorte per sapere «come stanno le cose». «Consorte - scrive il gip Forleo - riferisce che è ormai certo che i contropattisti venderanno le loro azioni e che non sarà Unipol a comprare direttamente, ma terzi per suo conto. Latorre è d’accordo, segnalando che, ove occorresse, l’onorevole D’Alema potrebbe fare una chiamata a Gaetano Caltagirone».
(Consorte): «Questa è la situazione. Quindi io domani ho l’incontro con loro alle sei, alle otto ti chiamo e ti dico come va a finire».
(Latorre): «Ma che deve fare, una telefonata Massimo a... all’ingegnere?».
(C): «È meglio che Massimo fa una telefonata. Perché? Perché, a questo punto, se le cose non vengono fatte, si sa per colpa di chi».
(L): «Certo».
(C): «Cioè mi spiego in modo chiaro, voglio essere esplicito, tanto... per chi cazzo ascolta non me ne frega un cazzo!».
(L): «No, no, va beh».
(C): «Cioè se noi domani ci presentiamo e diciamo: “il 25%”, c’è chi compra... e io ormai credo di esserci a ridosso di questa decisione e gli facciamo la proposta e loro dicono. “ah, ma no, ma noi non possiamo aspettare fino a martedì-mercoledì” è chiaramente una scusa e quindi, a quel punto, Massimo fa una telefonata e a quel punto abbiamo le prove che questi hanno lavorato su due fronti, chiaro?».
(L): «Uhm, uhm, certo».
(C): «Se invece io non riesco a fargli una proposta precisa, va beh, a quel punto non ce l’abbiamo fatta, non abbiamo i soldi per farla, chiaro?».
(L): «Sì. Certo, certo».
(C): «Che poi non è neanche vero quello, non è che non abbiamo i soldi per farla, è che noi non possiamo farla se no ci accusano di aggiotaggio e di insider, capito?».
(L): «Certo».
(C): «Quindi chi deve comprare deve essere terzi».
(L): «Uhm, va be’. No, perché io domani allerto Massimo su questa cosa, no?»:
(C): «Lo devi allertare. Però la situazione è chiarissima \ perché abbiamo già il 52%, eh! \ Vorrei che fosse chiaro. Non è che stiamo giocando. Se invece questi qua ecc. vuol dire che hanno trattato con gli spagnoli e ce lo mettono in c... In quel caso, noi li spiazziamo... l’accordo con gli spagnoli, vorrei che tu lo sapessi, io l’ho già chiuso».
(L): «Umh, uhm».
(C): «Diamo tutto agli spagnoli e loro ci rimettono una montagna di soldi, perché sono costretti a servire a due e cinquantadue, quindi gli abbiamo creato il trappolone».
(L): «L’ho capito, l’ho capito bene il giochino».
La conversazione prosegue. Consorte si lamenta degli ostacoli che sta incontrando nel tentativo di scalata. Il problema - spiega - non sono gli immobiliaristi. «Guarda - dice - sono dei poveretti». Il problema è altrove.
(Consorte): «Qui dietro c’è una mafietta, Imi San Paolo, Unicredito, Banca Intesa e Capitalia, che ci sta letteralmente impedendo di fare l’operazione».
(Latorre): «Ma non c’è dubbio su questo».
(C): «E ce la vogliono impedire. Allora, noi faremo di tutto, Nicò... eh... di tutto e di più. E anche dentro la cooperazione... cioè chi varrà dovrà essere aiutata e chi dovrà essere pestata. Comunque, guarda, Stefanini, Zuccherio... ci stanno dando una mano al di là della ragionevole... delle loro possibilità».
(L): «Eh. E noi li premieremo».
(C): «Poi ci sono le teste di c... Alla fine faremo la lista, Nicò. Questa bisogna farla, perché questi stanno semplicemente lavorando, io vorrei che ti fosse chiaro, contro di noi come Ds, non contro di noi come Unipol. Se facciamo questa operazione... ma sicuramente gli mettiamo una zeppa per i prossimi vent’anni».
(L): «Io dall’inizio, questa è la motivazione per la quale io ho puntato tutto su questa... Se riesco a sconvolgergli gli equilibri di potere in questo Paese...».
(C): «Cambiamo i rapporti di potere in questo Paese. Nicò, ma per noi, per il nostro Partito, per le cose che abbiamo sostenuto in 40 anni. Capito?».
Quella sera, Latorre chiama ancora Consorte. Il cellulare passa nelle mani di D’Alema. È la telefonata del «facci sognare!», ma non solo. Consorte assicura che l’operazione avrà anche una ricaduta politica.
(Consorte): «Massimo, noi ce la mettiamo tutta».
(D’Alema): «Facci sognare, vai!».
(C): «Guarda, ti dico, è da fare uno sforzo mostruoso, ma.. vale la pena a una anno dalle lezioni. Vale la pena».
(D): «Va bene, vai!».
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