Milano - Non erano semplici «chiacchiere». Le telefonate tra alcuni indagati nell’inchiesta della Procura di Milano sulle tentate scalate ad Antonveneta, Bnl e Rcs (tra cui Fiorani, Consorte e Ricucci) e sei parlamentari (i ds D’Alema, Latorre e Fassino, i forzisti Grillo, Comincioli e Cicu) sono la prova di una «complicità istituzionale di soggetti che conoscevano la portata degli accadimenti in questione, partecipando attivamente alla loro compiuta realizzazione». Parole durissime, quelle del gip Clementina Forleo. Le due ordinanze che accompagnano 68 delle 73 telefonate, trasmesse ieri al Parlamento, aprono uno spaccato sul «disegno criminoso di ampia portata» che stava alle spalle delle «avventure» finanziarie.
Il gip sottolinea come i politici non fossero «passivi ricettori di informazione pur penalmente rilevanti, né personaggi animati da sana tifoseria», ma «consapevoli complici, pronti e disponibili a fornire i loro supporti istituzionali in totale spregio delle regole». Tanto che solo l’inutilizzabilità di quelle telefonate ai fini penali - su cui ora dovranno esprimersi le Camere - ha evitato ai parlamentari di finire sotto inchiesta. «È evidente - scrive infatti il giudice -, risultando a carico di tali soggetti solo le granitiche risultanze» derivanti dalle «conversazioni in questione, che non si sarebbe potuto procedere alla relativa iscrizione degli stessi nel registro degli indagati, data l’inutilizzabilità di tali elementi».
L’«affaire» Bnl
Nella fitta trama che lega finanza e politica, c’è chi ricopre «un ruolo attivo». Otto telefonate tra Massimo D’Alema, Nicola Latorre e Giovanni Consorte sono per il giudice «di estremo interesse» nell’individuare il possibile concorso nel reato di aggiotaggio a carico dei due parlamentari, perché manifestano «la complicità nell’operazione dell’on.D’Alema, oltre che dello stesso Latorre», «resi direttamente edotti della penale illiceità della stessa» operazione. Il giudice Forleo ritorna sulla telefonata tra D’Alema e Consorte del 14 luglio 2007, quella delle «prudenze». Per il gip, è «evidente che la “prudenza delle comunicazioni” non può che essere riferita a notizie avute in ordine a possibili e anzi probabili operazioni di intercettazioni in corso». Dal parlamentare, dunque, arriva la «soffiata» all’ex numero uno di via Stalingrado. E non un invito a seguire una procedura in accordo con gli organi di vigilanza.
Ancora, nella ricostruzione fatta dal gip è sempre il ministro degli Esteri a essere chiamato a smussare le difficoltà che emergono nella scalata. Nella telefonata fatta da Latorre il 6 luglio, infatti, «Consorte riferisce che è ormai certo che i contropattisti venderanno le loro azioni. Latorre è d’accordo segnalando che, ove occorresse, l’onorevole D’Alema potrebbe fare una chiamata a Gaetano Caltagirone». «Il giorno successivo - continua il gip - quando Consorte palesa uno stato di rassegnazione al possibile fallimento dell’operazione, Latorre suggerisce di far intervenire D’Alema anche su altri fronti, ossia sulle Generali e Della Valle». Il 14 luglio, «D’Alema riferisce a Consorte di una visita fattagli da Vito Bosignore, “controppatista”, il quale voleva sapere se doveva vendere loro la sua quota, richiedendo in tal caso una contropartita politica».
Bpl-Antonveneta
Anche nella tentata scalata della Popolare di Lodi su Antoventa, il gip ravvisa «la sussistenza di apporti politico-istituzionali all’illecita operazione». Il senatore Luigi Grillo mostrava «la sua sempre pronta disponibilità a fornire il suo apporto anche attraverso legami con altri soggetti di più grosso calibro politico-istituzionale appartenenti comunque alla sua area politica e non compiutamente emersi quantomeno nei ruoli dagli stessi effettivamente svolti».
Le «scalate», scrive il gip, sono state «condotte ai danni dei piccoli e medi risparmiatori in una logica di manipolazione e lottizzazione del sistema bancario e finanziario nazionale con la complicità di chi aveva il compito istituzionale di garantire il rispetto delle regole». «Nelle vicende di cui si tratta - conclude la Forleo - non può non sottacersi la grave ricaduta delle condotte incriminate non solo sull’immagine del Paese, messo a nudo nella sua realtà istituzionale anche nei confronti della comunità internazionale».
Il Guardasigilli
Il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha dichiarato che acquisirà il provvedimento del giudice Forleo, «ravvisando singolarità rispetto sia al contenuto riportato che al ruolo che, con la richiesta così formulata, il magistrato si è assunto, con una potenziale lesione dei diritti e dell’immagine di soggetti estranei al processo».
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