I patriottardi nostrani che si apprestano a celebrare l'unità d'Italia coi soliti sprechi di fondi pubblici e l'immancabile retorica senz'altro storceranno il naso per l'uscita recente del bellissimo libro: «La Strana Unità», presso le edizioni Il Cerchio scritto dall'amico Gilberto Oneto.
Il nostro paese è avvolto dalla camicia di forza della retorica che si mostra nella sua compattezza, solo quando c'è da compiangere qualche povero ragazzo che ha perso la vita nelle varie zone in guerra.
Invece il centocinquantesimo anniversario, della cosiddetta unità, dovrebbe fornire l'occasione per riesaminare con serenità ed obiettività gli avvenimenti che hanno dato origine a tutti gli attuali assetti della nazione con conseguenti problemi sotto gli occhi di tutti. La storia è stata raccontata molte volte e quasi sempre con una sbrodolata di retorica che ha falsato la realtà esaltando i vincitori, tutti eroi, svillaneggiando i perdenti, tutti felloni, forcaioli e reazionari.
Nel libro l'autore affronta le vicende del Risorgimento smontando, pezzo per pezzo, tutti gli orpelli di invenzioni che la «storia ufficiale» e precisamente, quella insegnata a scuola ai nostri giovani, ci ha costruito sopra; Oneto invece si assume il compito di descrivere i fatti senza la cortina fumogena delle omissioni e delle distorsioni. Nel testo si fa un lodevole tentativo di analisi dell'intera operazione di unificazione, con la citazione di valida, passata e recente, documentazione, di noti autori; si esaminano le motivazioni, gli effetti, le conseguenze e vengono ben delineate con profondità le partecipazioni e gli atteggiamenti dei protagonisti in gioco.
Oggi la penisola deve affrontare gravi problemi, contraddizioni e contrapposizioni, difficili da risolvere perché si vuole ignorare il loro collegamento con i cruciali momenti all'epoca della formazione forzata dello Stato unitario. Riteniamo importante e segno di consapevolezza analizzare che cosa sia allora successo, proprio perché i nostri guai odierni sono nati 150 anni fa: ignorare queste cause significa la condanna a ripeterli e riviverli per sempre.
Il libro inizia con un estratto del discorso di Francesco II, re di Napoli, ai suoi soldati prima della battaglia del Volturno, il 30 settembre 1860: «Quelli lo chiamano risorgimento: ma che cosa significa risorgimento? Risorgimento lo si dice di una cosa che è già esistita. Ma a voi risulta che l'Italia è già esistita? No. L'Italia non è mai esistita da quando mondo è mondo, e allora come può risorgere?».
Seguono poi le accurate descrizioni dei fatti, come realmente avvenuti, ove sono citati episodi di una certa comicità e conseguente riflessione, come quando in un borgo della Lomellina, all'arrivo degli austriaci nel 1859, gli abitanti li rimproverano per non essere arrivati prima. C'è anche un capitolo finale destinato alla perdita di rispettabilità del nostro paese con una citazione di von Clausewitz: «i Savoia se finiscono una guerra dalla parte in cui l'hanno iniziata vuol dire che hanno tradito un numero pari di volte».
Si presume che questo libro Scalfaro, Ciampi e Napolitano non lo leggeranno mai.
L'autore ha fatto suo un ammonimento di Tucidide, secondo cui la storia si scrive «non come un bel saggio che conquisti l'applauso del momento, ma come un patrimonio che duri per sempre».
Non vogliamo più solleticare la curiosità dei futuri lettori invitando gli appassionati e cultori della nostra storia, quella vera, a leggere il libro scritto con uno stile sciolto e scorrevole e di piacevolissima lettura.
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