L’anello al dito. Sempre meglio che al naso. Dipende dai gusti e dai gesti. Nel caso in questione abbiamo un candidato premier che sa tutto sull’indice di gradimento, proprio e altrui, ma preferisce la prudenza sull’anulare. L’alibi è suggestivo, la memoria di un amico può servire a evitare il problema. Noi maschi le cerchiamo tutte o quasi. La vera, si diceva così, la fede d’oro, in genere, al dito, insomma, è un oggetto che rappresenta il vincolo, eterno, l’amore che non si può scindere, che ci lega, è memoria del giorno fatidico e fatale. Lo scambio dinanzi al prete è il momento culminante, alla presenza dei testimoni e degli invitati tutti.
Non si toglie mai quell’anello senza fronzoli ma con una data, giorno, mese, anno, impressi come una lapide, viene appoggiato sul comodino soltanto in caso di operazione chirurgica, viene baciato dai calciatori davanti alle telecamere per ribadire la passione alla consorte che assiste all’evento in tivvù e dunque non deve fidarsi di quello che scrivono i giornali maligni tra discoteche e baci clandestini. Ci sono le eccezioni, se la moglie parte per le vacanze il marito resta in città e, dopo aver insaponato il dito, con qualche sforzo estrae l’anello e si ritiene libero. A volte anche bello. La fede non è depositata nel gioiello ma sta nel cuore, questa è la frase da baci al cioccolato.
In verità il gesto nasconde il desiderio di una furbata. Del resto Veltroni aveva più volte annunciato al popolo di voler correre da solo, forse per questo vero motivo non porta la fede al dito. Poi si è pentito, come molti mariti, ha chiesto aiuto al vicino di casa, nel caso suo Di Pietro Antonio, un amico serve sempre in certe situazioni. Per le donne la vicenda è diversa.
Tony Damascelli
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