Maria Vittoria Cascino
Tredicimilacento chilometri a piedi. Dal '97 ad oggi. Tra Cassego, Scurtabò e Valletti, frazioni di Varese Ligure. Per dire Messa. Che il mezzo sta di traverso sul piazzale di Cassego. Diavolo d'un prete quel don Sandro Lagomarsini, tonaca nera, borsa a tracolla, ombrello d'appoggio e scarpe grosse. Che lo devi seguire se vuoi farlo parlare di una resistenza da romanzo. L'appuntamento è domenica mattina al doposcuola. Ci sono Giangi, Ignazio, Rita e Mirella pronti. Ci sei tu che l'intervista te la devi guadagnare. C'è don Sandro che te li abbraccia tutti con lo sguardo e via all'oratorio cinquecentesco di Maria Maddalena, Scurtabò. Perché la domenica del don è così: venticinque chilometri da bere con il bello e cattivo tempo e tre messe. Lo ha scritto sui manifesti che resiste da nove anni. Che la faccenda del circolo ricreativo aperto sulla quiete del piazzale della chiesa di Cassego, altro che diavolo per capello. E ci ha provato a dirglielo agli avventori che non ci si gira su quei pochi metri di terra, che se la macchina la lasciano sulla strada magari è meglio. Macché. Don Sandro sale e scende, gira intorno al campanile ritagliato vicino alla chiesa e macina. Che lì ci sta proprio bene una sbarra. Apriticielo. Il comune s'allerta, elimina l'ostacolo e basta preti che alzano la cresta. Ma don Sandro è un po' zuccone, mica gliela fai mollare così. E nel '97 ti parcheggia il pulmino delle sue missioni impossibili proprio lì. Il don provoca e il comune si porta via il mezzo. Che il prete recupera e sistema in modo tale che l'accesso al piazzale sia impossibile e incontestabile. Mica finita. Adesso bisogna andare a piedi, sennò che protesta è. La faccenda arriva in tribunale e il risultato sono due sentenze che riconoscono agli avventori l'accesso al piazzale.
«Peccato che quel passaggio non esista - siste il don -. L'ho scritto ai giudici in una lettera aperta che ho spedito a tutti. Bisogna che vengano di persona. Dietro c'è il precipizio. E pensano anche di costruire una terrazza sospesa per accedere al circolo, una follia». Don Sandro è pronto a ricorrere in Cassazione, «questa è una causa temeraria, fatta per ottenere una cosa senza significato. Quindi per dare fastidio». Certo è che il prete un po' se l'è cercata. Perché è un capoccione, uno che la Bibbia la legge e gliela spiega con la pazienza di Giobbe ai suoi cristiani. Uno che fa le spedizioni al Provveditorato per salvare la scuola elementare di Scurtabò. Uno che s'inventa il doposcuola alla don Milani, perché la gente di qui deve riacquistare la stima delle proprie origini e decidere di restare. Uno che nell'85 grida su «Famiglia Cristiana» che non vuole morire d'ecologia, che i parchi stiano lontano dagli Appennini, «che non è la città a spiegarci come si protegge l'ambiente».
Uno che nel '75 apre il Museo contadino di Cassego, (che rinnova di continuo insieme ai compagni di strada), dove tutti hanno portato qualcosa perché la loro storia non si perda. Don Sandro fa corsi estivi agli studenti dell'Università di Nottingham. Don Sandro ha la sua rubrica su Avvenire. In quel di Varese ci sta dal '65. Quarant'anni di maniche arrotolate, di tonaca sporca di terra, di battaglie contro. Perché quella terra lì è il suo sangue. Lo senti quando allunghi il passo al suo. Lo capisci da come misura la strada. Dalla favola di Esopo che racconta dal pulpito dell'oratorio. E poi di nuovo in marcia verso Cassego, che sembra piana quella strada in salita. E predica il don. Predica contro «la cricca feudale che s'è presa Varese». Contro i «vestitini biologici cuciti addosso alla gente dell'Alta Val di Vara. E non c'è verso di fare pace, perché mica basta una stretta di mano. Troppo semplice. Qui bisogna fare un passo indietro, ammettere l'errore. Sennò cosa resisto a fare?». Il don ha la messa delle 11. A Cassego lo stanno aspettando. Al posto del pulmino, che tirava le cuoia, c'è una Fiat Brava, ma la storia non cambia d'una virgola.
Ti molla al Museo contadino che Giangi, Mirella e gli altri fanno vivere.
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