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Un uomo senza tempo indaga in una città dove tutto è ferocia

C'è un guerriero che attraversa i secoli ma niente è triste e violento come il presente

Un uomo senza tempo indaga in una città dove tutto è ferocia
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É in arrivo in libreria, per i tipi di Minimum Fax il romanzo «Il libro dell'altrove» scritto a quattro mani da Keanu Reeves e China Miéville (pagg. 422, euro 19). In questa pagina anticipiamo, per gentile concessione dell'editore, uno stralcio delle avventure di un guerriero, Unute, che attraversa i secoli senza poter morire. Ma adesso il suo eterno vagare potrebbe concludersi per sempre...​

Uscendo dalla città gli edifici si abbassavano su entrambi i lati dell'ampio viale, come se il cielo premesse sulle torri e sulle vetrine sporche con i polverosi assortimenti di torte economiche e addobbi per feste, mobili riciclati, copisterie e studi notarili in bancarotta sbiancati dalla luce.

Un uomo chiamiamolo uomo percorreva quella strada. Esaminò il cielo predatorio. Non scosse la testa in questa epoca tendeva a evitare i movimenti inessenziali ma sbatté velocemente le palpebre, e chiunque lo conoscesse bene avrebbe riconosciuto in quel gesto un segno che qualcosa nelle sue fantasticherie aveva destato il suo interesse. Era un uomo alto e robusto, e qualora le persone che superava si fossero voltate a guardarlo lo avrebbero probabilmente considerato bianco. Indossava un bomber grigio e jeans neri, e aveva folti capelli scuri che ricadevano scompigliati sulla barba e sul viso chino. Alle sue spalle, molto più indietro: le pareti di specchi dei grattacieli che ospitavano banche, uffici finanziari e appartamenti in affitto, facciate di pietra bianche e beige a volgare imitazione di una Grecia immaginaria, finta ossidiana, nomi di hotel intitolati, in caratteri bastoni, a personaggi di fiabe locali detestate dai dissidenti.

Vicino ai giardinetti la carreggiata si restringeva, sorvegliata da palazzine chiamate greystone nella lingua locale per la loro vaga somiglianza con le brownstone di New York. Il sole dietro le nubi era freddo e molto luminoso, per cui i pedoni che superavano il viandante erano annunciati o seguiti da lunghe ombre sfocate. I residenti erano seduti sugli sgabelli davanti alle bodegas a battibeccare e giocare a dadi, indifferenti a lui. Un prete fumava una sigaretta storta sulla soglia di una chiesa in lamiera. Gli rivolse un cauto cenno di saluto col capo, che l'uomo restituì identico. Due bambini che frugavano tra i rottami di metallo vicino al cancello di uno sfasciacarrozze si fermarono al suo passaggio. L'uomo non li guardò e loro bisbigliarono, le loro parole sovrastate dal lamento di una macchina che veniva demolita. Ragazzi, lasciatelo in pace. Quell'uomo non uccide più i bambini, a meno che non sia costretto, ma in ogni caso lasciatelo in pace. I bambini rabbrividirono, come i cani randagi che osservavano l'uomo, e non si avvicinarono. Nei chilometri più periferici della città. Magazzini e palazzoni popolari, lotti vacanti diventati parcheggi e punti di ritrovo per commerci clandestini. Negli intervalli tra gli edifici l'uomo intravedeva le distese di sterpaglie della campagna. Era fermo sotto l'omino rosso luminoso che dondolava da un semaforo, assurdo a un incrocio tra niente e nient'altro.

Sentendo una sirena, l'uomo si fermò sul ciglio della strada. Non era la polizia ma un'ambulanza, e si stava allontanando. Quando si accese l'omino verde l'uomo attraversò la strada e imboccò il vicolo che portava a uno slargo sul quale si affacciavano, su tutti e quattro i lati, edifici commerciali di due e tre piani, con cumuli di immondizia addossati alle pareti coperte di graffiti. Sedie ribaltate, prese divelte, monitor sulle pareti con il foro di un singolo sparo al centro di ogni schermo. I computer spariti. Un'altra stanza, più grande. Letti a castello, posto per dieci persone. Lattine sugli scaffali. Oltre, l'oscurità, ingombra di macerie. Della stanza avevano fatto un tempio, con un'offerta al centro, uno ziggurat di morti alto quanto una persona. Sei uomini, tre donne.

L'uomo conosceva già il numero esatto; nessuno avrebbe potuto dedurlo da questa macabra architettura, un cono di arti e abiti scuri e resti di facce aggrovigliati in una fossa comune senza fossa. Le ombre dei morti strisciarono via dalla luce della torcia. In quel coagulo non persisteva nemmeno un indizio di recalcitranza postuma l'angolo di un gomito o un ginocchio sporgente i cui contorni erano stati appianati dalla gravità e dalla flaccidità secondaria, i bordi sfumati da quel corrosivo livellatore di dettagli.

Tra la poltiglia di carne rafferma e cinture e zaini tattici sporgevano, simili a un paesaggio carsico, punte di ossa e monconi di armi spezzate. L'uomo si sedette al tavolo. "Cosa hai da dire?", ripeté. La stanza tacque. "Sarebbe bello capire", disse l'uomo. "Almeno quello".

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