Giuliano Urbani la Cassandra.
«Ebbene sì, l’avevo detto».
Era il 2005 e lei rifiutò di entrare nel Berlusconi ter, quello successivo al tradimento di Marco Follini
«Dissi: se stiamo al ricatto di uno come Follini, chissà a quali ricatti dovremo sottostare in futuro».
Adesso c’è uno come Fini.
«Ogni volta che Berlusconi ha vinto si è scontrato con un atto di sabotaggio».
Il battesimo fu il ribaltone di Bossi, fu allora che lei scrisse la norma anti-ribaltone.
«Provammo a dire: se il vincolo di mandato non si può imporre, almeno limitiamo la libertà di ribaltamento».
E invece eccoci qui.
«Sì, però vede, anche se nessuno sta violando norme formali, l’illegittimità democratica del ribaltone è evidente a tutti e può produrre danni irreparabili».
Sarebbe a dire?
«In questo tempo satollo e distratto le rivoluzioni non si fanno, ma il disgusto e il disprezzo per il tradimento della sovranità popolare è una ferita alla democrazia da non sottovalutare».
Come finirà?
«Vuole l’ipotesi più probabile o la più intelligente?».
Facciamo entrambe.
«L’ipotesi più probabile è che si torni alle urne».
Quella più intelligente?
«Un ricompattamento con Fini».
La bacchetta magica la porta lei?
«Paradossalmente la convivenza è resa meno difficile proprio dalla rottura».
Come dopo un divorzio?
«C’è anche che Fini se prosegue sulla via dello scontro ha tutto da perdere. Perché cosa fa?».
È lei il politologo.
«Può allearsi con la sinistra, cancellando però il percorso di An come forza alternativa alla sinistra».
Oppure fare il terzo polo.
«Ma col terzo polo non sarà forza di governo né di opposizione. Deve allearsi per forza col centrodestra».
Può tentare le urne.
«Per Fini andare al voto equivale a scomparire».
Un vicolo cieco.
«Anche perché questo Parlamento non consente altri governi».
Questo lo deve dire il capo dello Stato, no?
«Certo. Ma Napolitano non può non tenere conto del fatto che gli elettori hanno votato una scheda in cui era indicato il nome di un premier».
C’è uno stridore fra la Costituzione, che assegna il potere di scegliere il premier al capo dello Stato, e il presidenzialismo strisciante?
«Stridore evidentissimo».
Però siamo punto e a capo.
«Tutto dipende da che intenzioni ha Fini. Se vuole essere l’erede di Berlusconi deve riavvicinarsi, dare un’idea di continuità. Questo al netto dei nasi di Cleopatra, certo».
Prego?
«Se le indagini sulla casa di Montecarlo dovessero dimostrare responsabilità oggettive, cambierebbe tutto»
Forse Fini spera di ereditare il centrodestra differenziandosi da Berlusconi.
«Ma negando colui di cui vuol essere l’erede non eredita un bel niente, si suicida».
Forse è stanco di aspettare.
«Se è stanco affari suoi, ma se esce dal centrodestra gli elettori non gli perdoneranno di aver tradito il mandato».
Ma ormai la frittata non è fatta?
«No, e infatti i finiani ripetono di non voler far cadere il governo».
Dice che hanno agito di pancia e ora sono pentiti?
«Ho l’impressione di sì».
Lei c’era nel ’93 quando l’Msi divenne An. Fu Berlusconi a sdoganare Fini o, come dice il Secolo d’Italia, si era già sdoganato da sé?
«Il punto è che Fini senza Berlusconi non fece neppure il sindaco di Roma, con Berlusconi divenne vicepremier».
E poi cos’è successo?
«Ha avvertito il fascino dei criminalizzatori di Berlusconi, quelli che non lo digeriscono perché è un outsider».
Lei ha fondato Forza Italia. Cosa pensa del Pdl?
«Quando incontrai Berlusconi lui era un imprenditore, entusiasta e pragmatico ma pur sempre un imprenditore. Io ero un professore, entusiasta e pragmatico ma pur sempre un professore».
Però funzionò.
«Ci lega il fatto che, anche dopo mesi che non ci sentiamo, parlando con terzi diciamo le stesse cose. Il Pdl non deve essere un partito di quadri, ma un comitato elettorale che raccoglie opinioni e propone soluzioni».
Non sarà che Fini è stufo perché decide tutto il Cav?
«Silvio decide tutto perché ci ha messo il coraggio. Quando creò Fi, un famoso imprenditore disse: “Bravo Berlusconi: se perde, perde solo lui, se vince, vince per tutti noi”».
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