Urbano VI, il Papa giusto per provocare uno scisma

Si chiamava, quando ancora era nel Secolo, Bartolomeo Prignano, ed era un uomo devoto e ligio, amante dell’ordine, del diritto canonico e dell’austerità. Venne eletto al Soglio pontificio l’8 aprile dell’anno del signore 1378 con il nome di Urbano VI, mentre il popolo romano assediava il conclave per paura che un nuovo papa francese, succedendo a Gregorio XI, riportasse la sede della cristianità ad Avignone.
A sceglierlo furono sedici cardinali tremebondi che volevano un italiano, fondamentale per calmare i tumulti e le devastazioni che ormai avevano invaso lo stesso palazzo apostolico. Ma occorreva un italiano filofrancese facile da manovrare e disposto a concedere, come di prammatica, un bel po’ di prebende. Prignano, esperto della macchina amministrativa pontificia e di cancelleria, non ancora cardinale (era arcivescovo di Bari) e quindi alieno ai giochi del conclave, eppure esperto canonista e strenuo difensore dei diritti della Curia, era sembrato la persona più adatta. Non fu così. Non appena vestita la tiara si lanciò in un capillare progetto di riforma della Chiesa e di lotta alla simonia, una «crociata» supportata dalle furibonde prediche di Santa Caterina da Siena e riassunta bene da una frase arrogante e rivoluzionaria buttata in faccia ai cardinali riluttanti: «Io posso tutto. E voglio che sia così». Il risultato di tanto zelo? Uno scisma, la nomina di un antipapa e lo scoppio di una violentissima guerra che coinvolse anche il regno di Napoli. Lo stesso Urbano VI divenne spietato e torturò e mise a morte senza alcun riguardo i cardinali che gli si opponevano.
Questa la vicenda, spesso trascurata dalla storiografia, che racconta Mario Prignano nel suo Urbano VI. Il papa che non doveva essere eletto (Marietti 1820, pagg. 296, euro 25, introduzione di Giovanni Maria Vian). Prignano, giornalista televisivo oltre che discendente di Urbano VI, costruisce con penna agile e mai pedante una ricostruzione avvincente dello scontro di potere e di modi di intendere la chiesa.

E se il coinvolgimento emotivo verso l’antenato è indubbio, va detto che l’autore non fa sconti all’avo e che ha raccolto una documentazione bibliografica degna del miglior storiografo. Ne esce un bellissimo ritratto in chiaroscuro. Non tanto di un pontefice, ma dello spirito di un’epoca tumultuosa, in cui fede e potere erano strette in un abbraccio mortale.

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