Cronaca locale

«Urla e spari, vivere qui è un incubo»

Un’inquilina: «Felice di non avere figli, per loro sarebbe un inferno». Tra i residenti noti artisti

Gianandrea Zagato

Lo scultore Maurizio Cattelan abita al 42 di viale Bligny. Ma non lo si vede da almeno tre anni. Suo vicino di casa è un noto guru della piercing art. E come Cattelan sta più all’estero che a Milano. Idem anche lo strafamoso schizzopoeta e il folle pittore. «Beati loro, non sono costretti a viverci» butta là un residente che ignora come il 42 di Bligny sia pure indirizzo d’obbligo per i pasdaran della controcultura radicale perché li ha sede la casa editrice Shake che da decenni predica la costruzione di taz, «zone temporaneamente autonome liberate dal capitalismo globale», pubblica le memorie di uno dei servizi d’ordine dell’estrema sinistra, la Banda Bellini, e si dedica a riviste dal sapore cyberfemministe.
Inquilini celebri di quel fortino dell’illegalità dove poliziotti e carabinieri ci pensano due volte prima di entrare. Ma al 42 di viale Bligny ci sono anche una trentina di residenti sconosciuti alle cronache mondane o letterarie: tutti o quasi pensionati che lì vivono da una vita, che ci sono nati e cresciuti come Luciana: «È sempre stato uno stabile un po’ irrequieto, dove non ci si è mai stupiti più di tanto nel vedere un poliziotto arma in pugno sul ballatoio di casa». Ricordi che vanno dai «covi dei partigiani su in soffitta» a «quell’abbaino dove Avanguardia operaia nascondeva i suoi archivi segreti». Memoria di ieri che, secondo Luciana, non ha però mai «intaccato la vivibilità di questo stabile costruito ai primi del Novecento e frequentato dai milanesi che sapevano di trovarci le migliori cooperative di mescita del vino».
E l’oggi? «È un miscuglio di razze che manda in frantumi la convivenza. Ogni monolocale - ce ne sono più di cento - è appannaggio di trans, prostitute e spacciatori che la fanno da padroni. Sa, pagano un sacco di soldi per quei buchi dove vivono e “lavorano”». Ospiti sgraditi che un giorno sì e l’altro pure finiscono sulle cronache nere, «ormai non si dorme più di notte: si è costretti a restare svegli perché urla e grida sono insopportabili e poi c’è quel via vai di drogati». Fotografia che, attenzione, non coinvolge tutto lo stabile del civico 42 ma solo una parte, quella «sorvegliata dagli africani» che «non hanno niente da perdere»: «È lì che viveva pure quell’imam arrestato dopo l’11 settembre» e lo sguardo di Luciana corre al ballatoio del quarto piano.
«Me ne sarei già andata se potessi, se avessi i soldi per pagarmi un affitto a buon mercato» ma trovare quarantacinque metri quadrati a trecento euro al mese in questa zona «è impossibile»: «Resisto con la speranza che prima o poi sia spazzata via questa casbah, dove droga e pistole circolano pure di giorno e dove è meglio tenere sempre gli occhi bassi». Altrimenti? «Non voglio nemmeno pensarci e, aggiungo, sono felice di non aver figli che sarebbero costretti a subire quotidianamente i soprusi di quelli là». Dichiarazione di resa al nemico, condita dalla rassegnazione di chi, speranza a parte, sa di poter solo dormire di giorno e di non poter «mai rientrare a casa dopo le diciotto». Coprifuoco obbligato per vivere al 42 di viale Bligny.
gianandrea.

zagato@ilgiornale.it

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