Stefano Filippi
nostro inviato a Castelnuovo di Porto (Roma)
Il futuro della legislatura si decide in sei orrendi capannoni di cemento costruiti a 25 chilometri da Roma tra la statale Tiberina e l'autostrada del Sole, uscita Fiano Romano, località Ponte Storto: e se nei nomi c'è un destino, qui stiamo messi male. Questi fabbricati lunghi e piatti erano i magazzini della Protezione civile italiana. Fino a pochi mesi fa ospitavano roulotte, container, automezzi, aiuti, insomma tutto quello che serve in caso di disgrazie. Guido Bertolaso e i vertici del dipartimento erano di casa. La capitale delle catastrofi. Brulicava di volontari e vigili del fuoco quando succedeva qualche disastro. Terremoti, alluvioni, incendi: era la morte a rianimare i lugubri ma preziosi depositi del Centro polifunzionale, e infatti l'ultima grande emergenza fronteggiata lì dentro furono i milioni di pellegrini giunti un anno fa a Roma quando si spense Papa Wojtyla.
Speravano di aver chiuso con i cataclismi, a Castelnuovo di Porto. I settemila abitanti al confine tra le province di Roma, Viterbo e Rieti tribolano di loro, con un antico castello da sistemare, le viuzze medievali che richiamano sempre meno turisti, e un municipio in ristrutturazione da tempo immemorabile (i lavori dovrebbero finire prima dell'estate), tanto che gli uffici comunali sono ospitati in una dozzina di container piantati nel parcheggio del campo sportivo per gentile concessione della vicina Protezione civile. Baracche di lusso, con tanto di aria condizionata, ma sempre baracche. Nell'anticamera del sindaco Massimo Lucchese (Margherita) troneggiano il tavolo dell'usciere e la sagoma di una cucina monoblocco.
Da mesi la Protezione civile sta traslocando e il comprensorio (già sperimentato a scopi elettorali con il referendum) sembrava destinato a diventare un centro congressi o un «esamificio», dove concentrare concorsi pubblici o esami con migliaia di candidati ora stipati in tanti alberghi di Roma. Castelnuovo non sarebbe stata più la capitale delle calamità. Lo è diventata dei brogli. Nei grigi falansteri di calcestruzzo sono stati intruppate le 765 sezioni degli italiani all'estero, e con esse le 1.135.617 buste con le schede spedite dai consolati di tutto il mondo, i 3.825 tra presidenti e scrutatori venuti da mezza Italia, i 250 rappresentanti del sindaco, i 785 rappresentanti di lista, i 350 vigili urbani del comune di Roma, i circa 150 funzionari d'ambasciata che hanno trasportato i plichi, oltre alla delegazione dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa) venuta a vigilare sulla regolarità dello scrutinio.
Gli osservatori «sono rimasti favorevolmente soddisfatti dallorganizzazione e dall'andamento delle operazioni», aveva riferito il presidente della circoscrizione estero della Corte d'appello di Roma, Claudio Fancelli. Lì, viceversa, ne sono successe di tutti i colori. Lì la procura di Roma indaga sulla base di esposti presentati da vari parlamentari del centrodestra, e lì è stato girato il documentario (scovato dal Giornale) che ora scuote i palazzi della politica.
La gente non ama l'argomento. Mezze frasi, mezze ammissioni, soprattutto niente nomi. La battuta è facile: Castelnuovo di Porto delle Nebbie. Ma la vox populi è unanime. Uno ricorda scrutatori che si erano presentati ubriachi o freschi di canna, un altro ha saputo di presidenti che vagavano la notte in cerca dei manuali di istruzione andati a ruba perché nessuno sapeva cosa fare. Altri ancora sembrano descrivere le scene registrate dai filmati: buste aperte, urne non sigillate né punzonate, schede sparse per terra, e tanta gente che cerca di sistemare le cose come può senza creare troppi problemi. Edicolanti, pizzaioli, tabaccai, baristi ricordano come fosse ieri l'esercito di gente che chiedeva la strada, comprava panini e sigarette oppure si accomodava ai tavolini per confabulare.
Nei giorni dello scrutinio ai giornalisti era concesso entrare, adesso no. Nel Centro polifunzionale un centinaio di funzionari della Camera sta verificando in assoluta riservatezza i verbali di ogni sezione elettorale, italiane ed estere. Un lavoro di routine, imposto dalla legge, ma questa volta più delicato del solito. Il controllo non riguarda le schede (che è quanto vorrebbe il centrodestra) ma unicamente i verbali, quindi eventuali aggiustamenti non messi per iscritto nei seggi sfuggono ai riscontri degli addetti di Montecitorio.
Questo lavoro, avviato a fine aprile, dovrebbe protrarsi fino a metà giugno con la stesura di una serie di rapporti che finiranno sui tavoli della Giunta per le elezioni. Saranno i membri della Giunta a decidere se disporre ulteriori accertamenti: soltanto allora i giornalisti potranno sapere qualcosa. Per adesso, alla larga.
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