Urne unica via se il Professore getta la spugna

Francesco Damato

Vorrei cercare di tranquillizzare l’amico Paolo Guzzanti, che pur prevedendo giustamente la caduta di Romano Prodi teme, meno giustamente a mio avviso, che gli succeda Massimo D’Alema, come già accadde nel 1998. E si è perciò appellato sabato a Giorgio Napolitano dal Giornale perché ci risparmi la replica dello spettacolo regalato agli italiani dall’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, ma consentito - non dimentichiamolo - da Francesco Cossiga. Che in quattro e quattr’otto confezionò un partitino di transfughi dal centrodestra per garantire la fiducia parlamentare.
Questa volta D’Alema, ammesso e non concesso che voglia di nuovo succedere a Prodi e che Napolitano sia disposto ad aiutarlo, peraltro allungando anacronisticamente l’elenco di comunisti e postcomunisti ai vertici dello Stato, non troverebbe più la sponda di Cossiga. Il quale forse il suo voto al Senato tornerebbe a darglielo, per quanto lo abbia spesso strapazzato negli ultimi tempi, ma non mi sembra proprio in grado di arruolare ancora una compagnia di acrobati.
So bene che nel centrodestra c’è chi pensa che un aiuto a D’Alema potrebbe essere dato, se ne avesse l’occasione, dall’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini. Che si sta procurando da quelle parti antipatie e sospetti per le ormai abituali distanze che prende da Silvio Berlusconi e dagli altri alleati, nella convinzione di poter così intercettare gli elettori moderati dell’Unione, particolarmente della Margherita, pronti ad abbandonare Prodi ma non a votare Berlusconi. Così almeno ha spiegato lo stesso Casini qualche giorno fa in una intervista che, per quanto apprezzabile per la sua franchezza, non l’ha aiutato a recuperare consensi fra i berlusconiani. Ma, detto questo, non credo francamente che l’ex presidente della Camera, dovendo anche trattenere i suoi elettori e non solo procurarsene altri, voglia cambiare campo per aiutare D’Alema. Del quale d’altronde egli si è vantato, scontrandosi con lui in televisione qualche mese fa, di avere fatto fallire la corsa al Quirinale, con ciò confermando di avere lavorato dietro le quinte con Francesco Rutelli per lanciare la candidatura di Napolitano. Solo Marco Follini, ormai in uscita però dall’Udc, potrebbe prestarsi ad appoggiare D’Alema.
Non credo neppure a quei «retroscena» giornalistici che ogni tanto accreditano simpatie e strizzatine d’occhio di Berlusconi al presidente dei Ds per operazioni di intese più o meno larghe. Analoghe fantasie e illusioni furono coltivate anche quando D'Alema tentò la scalata al Quirinale. Ma Berlusconi - grazie a Dio - dissolse le une e le altre, deludendo forse alcuni consiglieri ma non certamente i suoi elettori.
No. In caso di crisi l’unica soluzione che mi sembra realistica è il ricorso alle elezioni anticipate, immediato o differito per il tempo necessario a varare una riforma elettorale della cui opportunità si sono ormai convinti anche molti che hanno voluto e approvato l’ultima, alla fine della scorsa legislatura. Vi potrebbe provvedere un governo cosiddetto istituzionale, o di decantazione, affidato all’attuale presidente del Senato Franco Marini.

Gli farei personalmente un monumento se mi restituisse il voto di preferenza e introducesse per ragioni di decenza l’obbligo di una verifica automatica degli scrutini elettorali, magari a campione ma prima della proclamazione dei risultati, quando lo scarto tra vincitori e vinti è inferiore, diciamo, a centomila voti.

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