Uruguay-Argentina, quando non c’è rispetto della storia

Dorado quel giorno compiva 18 anni. Segnò il gol all’Argentina e svenne. Dorado era l’ala destra della Celeste, che poi era la nazionale di casa. L’Uruguay giocava nel suo monumentale Estadio del Centenario. Allora era una meraviglia, oggi un omaggio architettonico alla creatività degli anni ’30. Il Centenario ingurgitò 70mila persone, un oceano umano sorvegliato da un esercito di poliziotti a cavallo e militari armati di baionetta. Fu una festa per il popolo, un tripudio di emozioni.
Il buon Dorado avrebbe avuto da soffrire ancora, ma senza svenire più, prima di festeggiare. Uruguay-Argentina fu la finale di quel mondiale 1930, il primo e al di là dell’oceano. Un problema di troppo per quei tempi, tanto che molte nazioni europee (Italia compresa) non parteciparono. Oggi ci risiamo, Uruguay e Argentina si ritrovano quasi ottanta anni dopo: stesso stadio, c’è di mezzo un altro mondiale. Chi vince si qualifica alla fase finale, chi perde rischia di vederselo in poltrona. Tutto dipenderà dall’Ecuador e dal risultato che ne verrà contro il Cile.
Ma allora Uruguay e Argentina erano quanto di meglio il football potesse offrire. Oggi c’è qualche dubbio. Gli uruguagi erano gli “Orientales”, gli argentini i “Portenhos”. Per traversare il Rio de la Plata, ventimila argentini si organizzarono con dieci battelli al grido «hasta la victoria siempre!». Gli uruguagi tenevano gli occhi aperti in tutti i sensi. Un giornale titolò: «Che nemmeno un revolver argentino attraversi il confine». E così fu. I revolver erano quelli degli attaccanti della Celeste, che impallinò gli argentini 4-2. Andrade “la meravilla nigra” e Scarone “el mago” menarono la danza. Ma alla conclusione del primo tempo Stabile, “el filtrador”, puntero argentino che poi sarebbe venuto in Italia, mise il silenzio a tutto lo stadio infilando il 2-1. Andrade nello spogliatoio venne preso da crisi nervosa, lo stadio piombò nel dramma, i sudamericani non hanno mezze misure. Comparve Lorenzo Fernandez, “el patron” a maniche rimboccate in mezzo al campo. Fu come uno squillo, l’Uruguay ripartì in caccia ed arrivarono i gol di Iriarte e Castro a un minuto dalla fine. Luisito Monti giocava con l’Argentina e dovette attendere di cambiare maglia, indossare l’azzurro nostro, per vincere un campionato del mondo.
Il 30 luglio 1930 l’Estadio Centenario celebrò la prima coppa del mondo. Stanotte tornerà a godersi il brivido di una storia. L’Argentina si porta dietro i due oracoli: quello in panca, Maradona, e l’altro in campo, Lionel Messi. Peccato che i due comincino a guardarsi in cagnesco. E l’Argentina abbia bisogno del talento di entrambi.

L’Uruguay avrà gli “italiani” Muslera, Caceres e Gargano. Chi vince passa, il pari è un rischio per l’Uruguay, molto minore (grazie a una buona differenza reti) per l’Argentina. Decide l’Ecuador. Ottanta anni fa sarebbe stata una barzelletta.

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