Gli Usa giocano col fuoco dei troppi debiti

La Commissione europea e la Bce stanno da qualche tempo richiamando gli Stati membri a riavviare il processo di aggiustamento dei conti pubblici, differito causa crisi, in modo da riportare il rapporto deficit-Pil più vicino al 3% stabilito dal Patto di stabilità e sviluppo. Gli sforamenti sono comuni, più o meno marcati, ma nessuno di proporzioni tali come quello statunitense. Gli Usa hanno chiuso l’anno fiscale 2009 con un disavanzo pari a 1.400 miliardi di dollari contro i 460 miliardi dell’anno precedente. Oltre a essere il peggior risultato dal 1946, il passivo record sfiora il 10% della ricchezza nazionale a stelle e strisce.
È un passivo monstre doppiamente figlio della recessione. Da un lato, il gettito garantito da imprese e famiglie è infatti calato di oltre il 16% togliendo alle casse federali quasi 420 miliardi; dall’altro, la politica di deficit spending necessaria per contrastare la tempesta economico-finanziaria ha comportato un esborso di 3.500 miliardi, il 17,8% in più rispetto al 2008. L’incremento è in gran parte attribuibile al Tarp, il maxi-piano da 787 miliardi destinato a tenere in vita le banche agonizzanti, e al salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie specializzate in mutui immobiliari.
Anche se a differenza dell’Europa l’America non ha alcun vincolo da rispettare, l’aumento del disavanzo ha attirato critiche sull’amministrazione Obama. Tenuto conto dell’eccezionalità della situazione, probabilmente non si poteva far di meglio. Ciò non toglie, comunque, che i 1.400 miliardi di passivo vadano a sommarsi a un debito pubblico superiore all’80% del Pil. Alcuni economisti sostengono che la Casa Bianca utilizzerà l’inflazione, destinata a rialzare la testa una volta consolidatasi la ripresa, come strumento per annacquare l’indebitamento. La reale efficacia di questa manovra è tutta da dimostrare, mentre resta centrale la questione della sostenibilità dell’indebitamento.
Le ripercussioni sul dollaro, deprezzatosi di un altro 11,5% nell’ultimo semestre, sono evidenti. L’Europa ha chiesto e ottenuto all’ultimo G7 dal ministro del Tesoro Usa, Tim Geithner, un pronunciamento a favore di un dollaro forte. Parole che rischiano di essere, come spesso accaduto in passato, una enunciazione di principio necessaria per tacitare lo scontento degli altri Paesi. La sensazione, invece, è che gli Stati Uniti intendano mantenere una politica di deprezzamento del biglietto verde con il preciso intento di rendere più cari i beni importati e più competitivo il made in Usa sui mercati internazionali.


Questa strategia rischia di far perdere al dollaro lo status di valuta di riferimento, come ricordato di recente dal numero uno della Fed, Ben Bernanke. Finora, gli Usa non hanno incontrato difficoltà a collocare i Buoni del Tesoro. Ma forse non è il caso di tirare ancora la corda: troppi debiti e un cambio squilibrato sono materia esplosiva difficile da maneggiare.

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