Usa, i discorsi del presidente valgono più della par condicio

Mariuccia Chiantaretto

da Washington

Pari opportunità, ma con qualche eccezione. Nelle campagne elettorali americane il presidente in carica è sempre avvantaggiato: le sue conferenze stampa sono considerate notizie e i network possono trasmetterle senza preoccuparsi di nulla che somigli alla par condicio, anche se egli le usa per farsi propaganda. L’inquilino della Casa Bianca può anche andare a fare comizi usando l’Air Force One a spese del contribuente, se ha l’accortezza di parlare anche di argomenti di specifico interesse della zona che visita.
L’uso della televisione in campagna elettorale è regolato dal Communication Act, una legge che in teoria imporrebbe a radio e televisioni di trattare i candidati politici equamente concedendo loro lo stesso tempo di trasmissione e anche nella stessa fascia di ascolto. In pratica, però, l’eguaglianza è una illusione. L’«Equal Time Rule» stabilisce che se un candidato non ha soldi per farsi propaganda in TV può ottenere spazio gratuito soltanto se la stessa agevolazione viene concessa anche agli altri.
Il Communication Act è in vigore dal 1927, quando c’erano soltanto le radio, ma è stato aggiornato in modo da stabilire anche i costi degli spot elettorali. Un emendamento del 1971 prevede che i network fatturino ai candidati le tariffe scontate che applicano ai clienti migliori. In apparenza le regole sono molto rigide. Per esempio, quando l’ex attore Ronald Reagan scese in campo contro il presidente Jimmy Carter, e contro Walter Mondale nell’elezione successiva, le reti televisive non avevano la possibilità di trasmettere un suo film senza dedicare lo stesso tempo all’avversario.
La parità tuttavia non è affatto assoluta. Importanti eccezioni all’«Equal Time Rule» sono state imposte dal Congresso nel 1959. I network non devono rendere conto del tempo dedicato alle notizie di cronaca, interviste o documentari in cui il candidato appare ma non è il protagonista. In questo modo una rete televisiva ovviamente può favorire un politico a scapito degli altri ma i legislatori hanno dato la precedenza al diritto di cronaca. Questa eccezione alla regola voluta dal Congresso è servita spesso ai candidati dell’opposizione: uno degli esempi più clamorosi sono stati gli interventi di Bill Clinton nelle primarie del partito democratico nel 1992. Il giovane governatore dell’Arkansas faceva notizia anche per le sue avventure extraconiugali così sin dall’inizio delle primarie, nel New Hampshire, le tv gli dedicarono molto più tempo che agli altri candidati del suo partito e allo stesso presidente George Bush padre, senza rivali tra i repubblicani.
Anche i dibattiti fra candidati sono esenti dalle regole dell’equal time. Chi li sponsorizza può scegliere chi invitare e va da sé che vi partecipano soltanto i due candidati più forti, che hanno possibilità reali di essere eletti. Le regole di questi dibattiti sono gestite dalla Commission on Presidential Debates, un’organizzane senza fini di lucro e apolitica fondata nel 1987 per garantire al pubblico le migliori informazioni possibili.

Nell’ultima serie di faccia a faccia durante la campagna del 2004 la CPD ha stabilito, in accordo con gli avvocati di George Bush e John Kerry, un protocollo di 32 pagine che ha destato feroci proteste dei network. Fra le imposizioni c’era l’obbligo di tenere le telecamere puntate sulla faccia del candidato che parlava e il divieto di fare carrellate sul candidato che ascoltava o sul pubblico.

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