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Usa, marketing delle adozioni Gli orfani finiscono in vetrina

Una legge dà premi in denaro agli Stati che incrementano gli affidi. Così gli istituti per minori fanno pubblicità. E il mercoledì in tv va in onda l’intervista al piccolo "da piazzare"

Usa, marketing delle adozioni 
Gli orfani finiscono in vetrina

«I primi tempi sono stati duri. Viaggiavo in macchina per il Paese, portando con me due valige. In una, la più piccola, c’erano le liste di nomi e indirizzi delle coppie che avevano espresso il desiderio di adottare. L’altra, molto più grossa, conteneva centinaia e centinaia di polaroid di bambini che avevano bisogno dell’affetto di una mamma e un papà. Giravo migliaia di case, mostrando migliaia di volte le stesse foto sgualcite». Era il 1983, e Dixie van der Flier Davis macinava a bordo della sua vecchia Ford le distese infinite del Colorado, Wyoming e Nuovo Messico. Tutti quei chilometri affrontati con il suo campionario di faccine sorridenti sono rimasti indelebili nella sua memoria: «Era molto difficile e faticoso. Ora, con internet e la tv via cavo, la produttività aumenta di anno in anno».
Dixie è il presidente di «Adoption Exchange», un’organizzazione senza fini di lucro che cerca di trovare dei genitori ai minori affidati alle cure dello Stato. «Abbiamo appena compiuto 25 anni di vita - commenta soddisfatto -, e in questo periodo abbiamo trovato sistemazione a 5.155 casi».
Il risultato del lavoro di Dixie, così come di quello dei suoi colleghi, è evidente. Basta accendere la tv, o sfogliare un giornale, o guardare i cartelloni esposti nei centri commerciali: «bambino offresi per adozione». Da qualche anno gli annunci di questo tipo stanno proliferando in tutti gli Usa, sulla scia degli effetti di una legge del 1997 che prevede un premio di centinaia di migliaia di dollari per quegli Stati che riescono a incrementare il numero di adozioni. Questo ha fatto sì che gli istituti a tutela degli orfani abbiano contratto un grottesco matrimonio con le leggi del marketing. Accedendo alla pagina web adoptex.org, il portale di «Adoption Exchange», si può toccare con mano il fenomeno; uno dei link più cliccati è quello che rimanda alla galleria di immagini degli orfani. Centinaia di faccini sorridenti, con tanto di informazioni aggiuntive come la scuola frequentata, gli interessi, l’attitudine a socializzare. Sarà la distanza culturale che intercorre tra noi europei e il pragmatismo americano; sarà il fatto che nell’era delle comunicazioni globali era assurdo pensare che qualche aspetto delle vita potesse sfuggire al tritacarne che va sotto il nome di internet; ma il pensiero di orfani piazzati sorridenti in vetrine virtuali, in attesa che un clic del mouse dia una risposta al loro bisogno di affetto o che il webmaster un bel lunedì decida che tocca a loro essere l’«orfano della settimana» (a cui spetta una foto più grossa nella prima pagina del sito e una descrizione più dettagliata) è agghiacciante. Ma c’è di più: l’agenzia delle adozioni dell’Oregon ha una convenzione con il canale televisivo Koin-tv, che ogni settimana manda in onda il programma «Wednesday’s Child» (il bambino del mercoledì): un siparietto di una decina di minuti in cui l’azzimato anchorman dialoga con bambini di sei-sette anni domandandogli quali siano i loro interessi, se vanno bene a scuola, cosa farebbero se avessero all’improvviso mezzo milione di dollari. In molti stati del Sud, invece, c’è una mostra itinerante di fotografie di bambini che si muove di città in città. Gettonatissimi infine i «meet and greet party», letteralmente «feste per incontrarsi e salutarsi», incontri collettivi nei centri commerciali in cui le coppie in cerca di figli possono fare la conoscenza con i bambini da adottare. «Quello che conta è il risultato - sentenzia Dixie -. Non dimentichiamo che gli orfani sono un costo sociale.

Ognuno di loro costa alla comunità oltre 20mila dollari all’anno».

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