Pena di morte per sei terroristi eccellenti di Al Qaida rinchiusi nella prigione speciale americana di Guantanamo, a Cuba. Tutti coinvolti nell’attacco dell’11 settembre devono rispondere della strage di circa tremila innocenti. Il New York Times ha rivelato ieri che per i sei detenuti i procuratori militari chiederanno la sentenza capitale. Poche ore dopo il Pentagono ha confermato. Tra i sei Khalid Sheikh Mohammed e Ramzi bin al Shibh. Il primo - soprannominato “il cinghialone” dalla Cia che gli dava la caccia - ha ammesso, durante gli interrogatori, di «avere organizzato l’operazione 11 settembre dall’A alla Z». Il secondo era il suo braccio operativo, che si occupava della parte logistica e manteneva i contatti con Osama bin Laden.
Rischiano l’iniezione letale anche altri quattro terroristi. Uno dei più noti è il prigioniero “063” di Guantanamo, che doveva essere il ventesimo dirottatore. Si chiama Mohammed al-Qahtani e qualche settimana prima dell’11 settembre aveva tentato di entrare negli Usa illegalmente, ma era stato respinto. Il suo obiettivo era il volo United Fligth 93, che avrebbe dovuto schiantarsi sulla Casa Bianca. Invece la rivolta dei passeggeri lo fece precipitare nelle campagne della Pennsylvania. Gli americani hanno catturato Al Qahtani in Afghanistan, nella roccaforte di Al Qaida a Tora Bora, dopo il crollo del regime talebano.
Un altro è Ali Abd al-Aziz Ali, nipote di Sheik Mohammed, l’architetto dell’11 settembre: ha aiutato ad organizzare l’attacco. E il suo braccio destro, Mustafa Ahmed al-Hawsawi, ha procurato soldi, carte di credito e abiti occidentali ai dirottatori. Infine l’ultimo che potrebbe vedersi infilare l’ago dell’iniezione letale è Walid bin Attash, uno yemenita che in Afghanistan aveva selezionato e addestrato alcuni dei dirottatori kamikaze.
La decisione di accogliere e respingere la richiesta dell’accusa spetta all’alto magistrato, Susan J. Crawford, ex giudice della Corte d’appello militare. Il problema è che per arrivare a un’eventuale condanna capitale ci vorranno anni e la procedura appare complicata ed irta di ostacoli. Lo stesso carcere di Guantanamo è sotto accusa da mezzo mondo e c’è chi, anche all’interno dell’amministrazione Usa, vuole chiuderlo.
Inoltre sarà difficile che una Corte civile, che dovrebbe convalidare la sentenza, accetti le confessioni degli imputati ottenute con metodi non proprio ortodossi. Sheik Mohammed è stato sottoposto all’annegamento simulato, una specie di tortura soft.
Anche Bin al Shibh e gli altri che potrebbero essere condannati a morte non sono stati interrogati con i guanti.
Debra Burlingame, sorella di uno dei piloti dei voli civili sgozzati l’11 settembre, non ha dubbi: «Se 3000 morti non sono sufficienti per la pena capitale, perché dovremmo averla?».
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