«Uso terapeutico» e «servizi deviati», l’autodifesa dei vip

Una spugnetta passata sul viso per detergere il sudore. Ecco il cavallo di Troia escogitato dalle perfide Iene: «Onorevole, lei ha la fronte troppo lucida, posso?» La truccatrice, rapida, appoggia il drugwipe sul volto del parlamentare. Un attimo ed ecco i risultati del test condotto su cinquanta, inconsapevoli, parlamentari. I numeri sono sorprendenti, anzi inquietanti: 12 deputati, un pericoloso 24 per cento, positivi alla cannabis, 4, corrispondenti ad un imbarazzante 8 per cento, alla cocaina. L’imboscata, andata in scena nell’ottobre 2006, è finita in una rissa. Fra dichiarazioni sdegnate, invocazioni della privacy, comitati spontanei per la difesa dell’anonimato. E naturalmente, proclamazioni di estraneità più solenni di un dogma.
L’ostensione generalizzata di innocenza, però, non convince. La droga circola in Parlamento, affermarlo non è qualunquismo, anche se è difficile azzardare stime attendibili. Per le Iene, sondaggiste empiriche a tradimento, un parlamentare su tre si lascia andare agli stupefacenti. Insomma, le Camere rappresenterebbero la parte peggiore del Paese.
Una parte del palazzo ha una certa dimestichezza con la cocaina e la marijuana. Gli indizi, a parte le incursioni in tv, sono quelli che sono. L’ex ministro della famiglia Antonio Guidi ha raccontato a Libero che «i politici non sono sprovveduti, però in bagno» lui la cocaina l’ha vista. Eccome.
Per il resto, bisogna affidarsi alle inchieste, agli incidenti del mestiere che qualche volta hanno travolto i big con la loro credibilità. Il caso più imbarazzante riguarda uno dei cavalli di razza della Dc, il senatore a vita Emilio Colombo: è il 2003 e Colombo, già oltre la linea degli ottanta, viene risucchiato in una brutta storia di cocaina. Viene arrestato il presunto pusher, Giuseppe Martello, e con lui due agenti della scorta di Colombo. Alla fine, fra dichiarazioni, controdichiarazioni, smentite, Colombo mette a verbale la sua verità, prendendola da lontano, con concetti virtuosi: «Giuseppe Martello che è titolare di un’impresa edilizia mi aveva contattato per ottenere lecitamente dei lavori. Io però non l’ho mai aiutato». Scongiurata Tangentopoli, Colombo arriva al dunque: «La cocaina era per me. Sono un assuntore da non molto, non più di un anno, un anno e mezzo. La utilizzo a scopo terapeutico». Anche l’Udc Cosimo Mele l’avrebbe sfruttata per un nobile scopo: non fare cilecca nelle prestazioni amorose. Ovvero nell’amplesso con una prostituta perché ai tempi di Mele, che pure sono recenti, girava la cocaina ma la parola escort era ancora sconosciuta.
Qualcuno a Palazzo Chigi ricorda anche il capitombolo dell’allora viceministro Gianfranco Micciché. I carabinieri pedinano un «corriere» e a furia di inseguirlo si ritrovano negli uffici del ministero delle Finanze. Sarebbe lui, il parlamentare ribelle del Pdl, il destinatario delle bustine.
Se Colombo si era rifugiato nella posologia dei medicinali, Micciché nega su tutta la linea. E la cocaina, com’è entrata? In incognito? Micciché ipotizza la manina di un qualche servizio deviato, qualcuno insomma che avrebbe cercato di incastrarlo.
È un ritornello che nella storia patria è stato ripetuto davanti alle vicende più torbide e drammatiche. Insomma, comunque sia andata, il viceministro ha attinto all’inesauribile repertorio nazionale.


Come Luciano Violante che dallo scranno più alto di Montecitorio non sa più a che santo votarsi, lui che pure è stato comunista, per sedare l’incontenibile Vittorio Sgarbi. Alla fine di una mattinata indecente, lo apostrofa con tre parole: «Onorevole, cosa ha assunto?». Una battuta che vale più di tanti test.

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