Va in fumo l’eredità «popolare»

Va in fumo l’eredità «popolare»

Giuseppe Gargani*

Il professor Enrico De Mita con l’abituale lucidità e indipendenza di giudizio ha scritto che le elezioni primarie che si sono svolte domenica scorsa per Prodi «sono un ircocervo, una prassi che si muove sul crinale della partitocrazia e della deriva plebiscitaria». Il giudizio è molto severo e non può non essere condiviso da chi è genuinamente e sinceramente democratico e da chi può vantare una tradizione culturale e politica.
Alla vigilia del voto ero stato più drastico ritenendo che fosse non politicamente corretto chiamare i cittadini per farli votare su questioni già decise, e utilizzarli per dirimere controversie interne tra i vari candidati della sinistra. Oggi sono egualmente severo per le conseguenze che quel voto, espresso spontaneamente un po’ per gioco, un po’, come lo stesso De Mita (Enrico) ha detto, per «mera aspirazione di moralità politica», un po’ per curiosità (perché quando le elezioni non sono determinanti l’elettore soprattutto se schierato, vuole verificare formalmente il valore e il significato del suo voto), può avere.
Sono sorpreso e preoccupato per le valutazioni che si sono date di quel voto e per i segnali di fumo che si sono colti e che stanno di nuovo modificando il quadro politico. Si è votato per tutto e per niente, si è votato contro e a favore e l’entusiasmo degli esponenti dell’Ulivo non è tanto per il voto a favore di Prodi ma per il voto, a loro parere, contro Berlusconi. Una retorica vuota, un infantilismo e un nichilismo politico che ha elettrizzato tanti e ha fatto immaginare per qualche minuto che fosse risolto d’incanto il problema politico e il problema sociale del Paese!
Hanno partecipato a questa «festa» anche i partiti. Non mi meravigliano i Ds perché nella costante contraddizione storica che si portano appresso tra populismo e massimalismo pensano di acquisire identità anche attraverso un assemblearismo pasticcione, come le primarie, fatte senza regole, senza la garanzia delle scelte e tentano di essere determinanti. Essi nascondono dietro l’immagine di Prodi, fatta diventare simbolo, la mancanza appunto di identità e mostrano la forza muscolare della loro organizzazione che certamente regge all’usura del tempo, ma che non è idonea a creare valori e certezze. Mi meravigliano invece i dirigenti della Margherita che hanno tutt’altra tradizione e che conoscono bene il valore del voto, del rapporto tra cittadini-elettori ed eletto, la delicatezza istituzionale e politica della «rappresentanza», la quale deve avere una sua formalità e una sua garanzia di trasparenza per essere valida, un suo contenuto politico e programmatico per produrre effetti politici rilevanti e seri. Si è votato per la persona di Prodi e non per altro: un suo capriccio elevato a dignità politica! Per queste ragioni nelle primarie convivono in maniera pasticcia ed equivoca la organizzazione partitocratica un po’ militare e l’ingenua aspirazione della società civile a far valere il suo punto di vista.
Questo mix non produce effetti politici, come ho detto, ma alimenta pretese personalistiche e verticistiche prive di contenuto morale e programmatico. Eppure il quadro politico si sta profondamente modificando. La Margherita nel maggio scorso con un atto che apparentemente sembrava di coraggio aveva deciso di dare una autonomia al partito, rifiutando un listone unico come era avvenuto nelle precedenti elezioni.
Sembrava che il passo successivo sarebbe stato in sede europea al Parlamento di Strasburgo l’abbandono del gruppo politico di quell’area considerata di «nessuno», che è appunto il gruppo per così dire «misto», per ritornare nell’alveo tradizionale e naturale del Ppe, in modo da rafforzare la rappresentanza di un centro moderato alternativo al Pse. Sembrava un atto di coraggio a conclusione di un lungo travaglio per avere subito, come ho ripetuto tante volte, l'egemonia silenziosa del professor Prodi il quale ha preteso sin dal 1996 di fare una sua lista unica e personale: era il riscatto tardivo di una forza politica subordinata in maniera innaturale all’iniziativa della sinistra.
Oggi ci accorgiamo che fu una mossa solo tattica, in qualche modo una congiura di palazzo contro Prodi, il quale invece con l’aiuto dei Ds ha ripreso il sopravvento e ha costretto alla resa l’eterogeneo gruppo della Margherita. Ciò è avvenuto nonostante l’approvazione di una nuova legge elettorale proporzionale che nonostante le manchevolezze gravi già evidenziate, garantisce l’autonomia delle liste e dovrebbe evitare i pasticci che si era costretti a fare con la vecchia legge.
Come è possibile che semplici segnali di fumo facciano cambiare radicalmente le strategie politiche a tal punto da annullare una decisione maturata così faticosamente. Debbo essere ancora più severo nel mio giudizio: se nello spazio di 24 ore si è stati costretti ad accettare una indistinta e anonima aggregazione, una lista comune presupposto per un egualmente anonimo partito democratico, rinunziando a rappresentare i valori di centro propri di un partito che quella collocazione aveva scelto, vuol dire che per la composita aggregazione della Margherita non vi sono valori consolidati e si è completamente dispersa al vento la tradizione popolare italiana ed europea. D'altra parte l’incertezza con la quale la sinistra si muove da una posizione socialista tradizionale ad una meno comprensibile posizione kennediana, dimostra l’approssimazione e la confusione delle idee e delle ragioni per le quali si chiede una rappresentanza politica. Nei giorni scorsi la sinistra dei Ds ha criticato il partito democratico che si vuol costruire dimostrando la sua inconsistenza, perché esso «sfugge a qualunque ancoraggio culturale rischiando di tradursi in una formazione politica piglia tutto fondata su una estrema personalizzazione!».
Credo sia proprio così, e credo sia chiaro a tutti i benpensanti che il vero partito personale in Italia è quello di Prodi che si è servito dei Ds per costringere la Margherita a rinunziare alla sua autonomia, e alle sue peculiarità, per imporre le sue pretese niente affatto politiche.

È un panorama deprimente che allontana ancora per molto tempo la politica.
*responsabile giustizia Forza Italia

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