L’avvocato d’ufficio Gianfranco Pagano, che lo Stato italiano ha fornito quale inviolabile diritto al trippone serbo ormai noto al mondo come Ivan il Terribile, non è segnato dal minimo imbarazzo nel riferire le parole del suo illustre assistito: "Chiede scusa all’Italia. Non aveva la minima intenzione di causare la sospensione della partita di Genova. Come i suoi compagni, è rimasto sorpreso del risalto mediatico riservato alla vicenda". Che un avvocato debba fare il proprio mestiere, difendendo i diritti anche del più bieco criminale, nei luoghi civili è accettato e riconosciuto. Però a sua volta l’avvocato Pagano dovrebbe rispettare il nostro diritto a non uscirne da gonzi. Sta a vedere che l’altra sera tutto il mondo è rimasto vittima di un colossale abbaglio, equivocando clamorosamente sugli atteggiamenti di Ivan. Quello che a noi sembrava una mezza guerra, sfociata nella sospensione della partita e negli incidenti per le vie della città , in realtà è un fraintendimento: Ivan stava soltanto incitando i suoi amici al "Giocagiuè", come un qualsiasi animatore di karaoke. Il suo avvocato d’ufficio avrà modo di chiarirlo bene, in sede di giudizio. Nell’attesa di comparire davanti alla giustizia, Ivan il trippone sta comunque scoprendo sulla propria cotenne la durezza della legge italiana. Tanto per cominciare, è detenuto nel carcere femminile di Pontedecimo: in quello maschile di Marassi ci sono attualmente troppi albanesi, non è sembrato umano e umanitario mandarlo proprio lì, dov’era atteso con una certa ansia. Poi, l’immediata assistenza dell’avvocato di fiducia senza il senso del ridicolo, pronto a dire che il suo assistito non voleva interrompere la partita, "anzi è stupito dal risalto mediatico". A seguire, quanto prima potrà usufruire del patteggiamento, che gli consentirà di snellire parecchio un’eventuale sentenza negativa. Al momento, le previsioni sono di qualche mese, con espulsione immediata. Praticamente una vacanza italiana. Un week-end lungo, per fare poi un pronto ritorno alle sue quotidiane occupazioni. Prima di andarsene, dovrà però sorbirsi l’ultima tortura. Sulla sua testa calerà pesantissimo il severo monito del giudice italiano: "Monello, non farlo più".
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