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«Il vaccino che batte l’Aids? Temo sia un’altra illusione»

RomaUn vaccino sperimentale, anzi, la combinazione di due prodotti, che abbatte di oltre il 30 per cento il rischio di contrarre il virus dell’Hiv. La notizia arriva dalla Thailandia e, come ogni volta, risveglia la speranza in molti, anche nella comunità scientifica, a cominciare da Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di allergologia e malattie infettive degli Usa, finanziatore del progetto del ministero della Sanità thailandese. Ma qualcuno è fuori dal coro. «Vado controcorrente, non sono molto convinto della validità di questi risultati, e non lo sono per diversi motivi», spiega l’immunologo Ferdinando Aiuti.
Quali sono le sue perplessità, professore?
«Be’, per cominciare c’è una differenza minima tra gli infettati vaccinati, che sono stati 51, e quelli non vaccinati, 74 in tutto, al di là del fatto che il trentadue per cento in meno di incidenza non è molto. Il problema non è il campione: 8000 persone per gruppo bastano e avanzano, ma è proprio il numero assoluto degli infettati che è molto basso. Quindi la valutazione statistica è corretta, ma gli eventi attesi sono stati pochi. Questo non mi convince, ma non è il solo aspetto, a dirla tutta».
Che cos’altro non le torna?
«Per esempio le modalità con cui è stata condotta questa sperimentazione, cominciata con un solo vaccino che però non funzionava, e così dopo tre anni se n’è aggiunto un secondo. Come dire, non proprio una cosa ortodossa».
Eppure sembra aver funzionato.
«Non sono d’accordo. Nessun vaccino al mondo arriva alla fase della commercializzazione garantendo una copertura inferiore al 50 per cento, e qui parliamo del 32, un valore decisamente troppo basso per poter parlare di un rimedio contro l’Hiv. La regola è che i vaccini abbiano una copertura molto alta, di norma superiore al 90 per cento. Non so, per esempio, col colera, che è tra quelli che hanno una percentuale di protezione più bassa, il valore è comunque del 75 per cento. E che io ricordi sotto il cinquanta per cento di copertura non esiste un solo vaccino in commercio».
E quindi? Serve cautela?
«La cautela serve sempre, in questo caso più che mai. Trovo che invece sia un po’ mancata, e lo stesso Fauci ha fatto su questa sperimentazione dichiarazioni molto lontane dalla cautela. Tra l’altro il trial è stato fatto in Thailandia, dove il virus più diffuso è l’“E”, che non è lo stesso ceppo dell’Africa, dell’America o dell’Europa, continenti per i quali dunque quei dati non sono attendibili. E non sappiamo nemmeno la durata dell’immunità che questa “cura” assicurerebbe».
Insomma, non siamo ancora a una svolta storica. Il sogno di un vaccino anti-Aids non è ancora dietro l’angolo?
«Certo che non ci siamo, altro che svolta. Considerate tutte le riserve che ho esposto - copertura troppo bassa, pochi eventi attesi, il fatto che le condizioni degli infettati vaccinati e di quelli non vaccinati siano identiche, e dunque la cura non modifica nemmeno il decorso - mi chiedo semmai come i risultati di questa sperimentazione possano portare alla registrazione di un vaccino, e in seguito a vaccinazioni di massa. C’è da dire che per ora abbiamo visto un riassunto dei risultati, quindi aspettiamo e vedremo, vedremo i dettagli. E se vorranno andare avanti o ritenere sufficiente quanto fatto e chiedere la registrazione. Io penso che diranno che i risultati non sono sufficienti».
E quindi in questo caso cosa succederà? I test andranno avanti?
«Non so. So solo che con numeri come questi le sperimentazioni si interrompono».
Ma ci sono investimenti, anni di studio, volontari...
«Per capirci, meno di due anni fa venne sospesa la sperimentazione clinica del vaccino Merck contro l’Hiv. Perché sospesero tutto? Perché i numeri erano simili a questi, ossia decisamente troppo bassi. Quanto agli investimenti, per questa sperimentazione fino a ora sono stati spesi circa 110 milioni di dollari.

Ma di solito, per lanciare un nuovo vaccino, sono necessari almeno 500 milioni di dollari».

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