Ora diranno che è soltanto un’anomalia, una
carta sporca, la mela marcia nel giardino dell’Eden. Il passato è tutto
da riscrivere, e in fretta. Altrimenti la storia, quella perfetta e
pulita, non torna più. L’immacolata concezione del Pd, nato senza
peccato originale. Altrimenti gli tocca dare ragione a Feltri,
quando scrive di «diversamente ladri». E poi partono querele e class
action di tutti gli iscritti al partito. No. Il compagno Penati va
marchiato e cosparso di pece per salvare la leggenda della superiorità
morale degli eredi di Berlinguer. Colpirne uno per salvarne mille. E così sia.
Ritoccare la storia.Filippo Penati non è più l’uomo di fiducia, il sindaco di Sesto San Giovanni, bandiera rossa d’Italia, uomo concreto, uomo delle Coop, che sa dove sta il sugo del sale e non si perde in sofismi alla Cacciari, uno su cui si può contare perché conosce la politica e il suo mestiere, dove capita qualche volta anche di sporcarsi le mani, quando si governa un comune o una provincia si incontra tanta gente e qualche compromesso prima o poi ti arriva in tasca.
Questo pensavano
di lui i suoi capi, i dirigenti di partito, con affetto, perché
Penati era uno su cui si poteva contare, uno tranquillo, uno che
lavorava, uno che meritava una carriera buona, anche senza esagerare.
Adesso Filippo Penati va processato (non in tribunale), degradato
pubblicamente e che il suo nome pian piano venga dimenticato, per non
scuotere la coscienza di chi un giorno lo chiamava amico.
Per fare
tutto questo serve un tribunale speciale, di probiviri, di anziani
signori che giudicano non i fatti ma la morale, e di questi tempi con i
casi Tedesco, Morichini, Vincenzi e Pronzato ancora in ballo, e tutti
i tranelli e gli appetiti della pubblica amministrazione tentatrice,
serve qualcuno che assuma su di sé tutti i peccati. Serve un capro
espiatorio. Tocca a Penati. Come ai tempi di Tangentopoli toccò a Primo
Greganti, il silenzioso compagno G. È necessario proteggere la rete
dalla cellula infetta.
A questo serve la commissione di garanzia che
giudicherà l’anomalia. Penati è stato già condannato. La morale è
meno garantista della legge. Il gip di Monza gli ha contestato la
corruzione semplice. Il reato, se esiste, è prescritto. Penati quindi
è salvo. È andata peggio a un suo assessore, i suoi «peccati» non sono
ancora scaduti. Ma l’assessore è un pesce piccolo. Non va né salvato
né sommerso.
Quella di Penati è un’altra storia. Fa notizia. Fa da esempio. È
per questo che il suo partito deve marchiarlo come «mela marcia».
Bersani a malincuore non può salvarlo. È un suo uomo, ma va
sacrificato. E ogni giorno c’è qualcuno del suo partito che frusta
pubblicamente il malcapitato. È toccato alla Bindi, a Fioroni e a
tanti altri. L’ultimo è Enrico Letta sul pulpito del Tg3 :«Non c’è
dubbio che Penati debba rinunciare alla prescrizione. Non c’è dubbio
anche che il lavoro della commissione di garanzia dirà cose che poi
dovranno essere accettate. Questa è la differenza tra noi e
l’atteggiamento di altri. Da noi chi è toccato da questi fatti si deve
dimettere e si deve far processare, altri diventano ministri. Non ci
può essere alcuna macchia in questa storia».
Letta non si rende conto di quello che dice e svela. Penati non va condannato dal partito perché corrotto. Penati deve diventare un esempio di giustizia da sbattere in faccia agli altri, a quelli del Pdl. La condanna è strumentale. È di facciata. È per marcare la differenza con i propri avversari politici. Loro ladri, noi giustizieri dei nostri ladri. Non deve esserci nessuna macchia. Ecco l’ipocrisia di Letta. I probiviri condanneranno Penati non per il fatto, non per quello che avrebbe commesso, ma per salvare l’apparenza. Come in quella vecchia pubblicità con protagonista Agassi: «Image is everything ».L’immagine è tutto.L’apparenza è tutto. È questo il guaio dei tribunali morali. Condannano i simboli, ma non vanno mai a fondo delle questioni. Le domande che dovrebbe farsi la commissione di garanzia sono altre: a chi andavano le tangenti Falck? Il partito sapeva, ha chiuso un occhio, non si è accorto di nulla? Con quale presunzione morale ci definiamo il partito degli onesti? Conosciamo davvero come i nostri uomini amministrano gli enti locali?
Il presidente dei probiviri Luigi Berlinguer invece ha già risposto. Non ha dubbi. «La corruzione non deve minimamente sfiorare il Pd. Noi dobbiamo essere più rigorosi della moglie di Cesare». Ed è questo il problema. Cesare quella volta fu un simbolo di ipocrisia. Non amava Pompea. Non era certo geloso delle attenzioni del suo alleato Clodio verso una moglie che non vedeva l’ora di ripudiare. Forse Pompea aveva solo civettato. L’inguaribile bastardo era Clodio. È lui che si nascose vestito da donna durante le celebrazioni, esclusivamente femminili, della Dea Bona. Era lui il sacrilego. Ma Cesare lo difese in processo.
E condannò Pompea. «La moglie di Cesare è al di sopra di ogni sospetto ». Image is everything. L’apparenza è tutto. Con buona pace dei moralisti del Pd.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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