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Van De Sfroos, nel nuovo cd meno folk e più amore

Van De Sfroos, nel nuovo cd meno folk e più amore

Chi agli esordi pensava fosse il solito cantautore dialettale di grana grossa - magari di deriva leghista - ha fatto subito marcia indietro. Davide Van De Sfroos s’è fatto strada nel cantautorato che conta pescando cascami di poesia nel mare magnum del blues e del folk per tuffarle nello spirito del lago di Como. Ormai è un’artista internazionale, ma non si stacca dalle radici e oggi, a Villa Erba di Cernobbio, chiude il Music on Air festival - dove ieri si è esibito Morgan - con un concerto ricco di ospiti come Syria, Max Pezzali, Fabio Treves, Frankie Hi Nrg e premi alla Carriera ai Pooh e a Vecchioni. «Sono direttore artistico di questa manifestazione perchè qui non esistono barriere: c’è Ornella Vanoni accanto a Morgan, Nina Zilli e i Baustelle, che io chiamo “la diversità in avvicinamento” perché hanno portato il rock indipendente nella hit parade». Un Festival che è anche il punto di ripartenza per Van De Sfroos: «Oggi finisce ufficialmente il mio tour estivo e torno a lavorare al nuovo album, che uscirà all’inizio dell’anno prossimo». Una bella sfida dopo le ballate profonde di Pica!, e un ulteriore salto di qualità. «Sto scrivendo brani intensi, alla T.Bone Burnette, intimisti su cose personali, su storie nascoste nella mia psiche. Stavolta sarà un disco di canzoni d’amore, ma alla mia maniera».

Van De Sfroos cambia volto? «Piuttosto si evolve; la “folkettata” irlandese a tutti i costi è ormai inutile. La sbornia da Pogues mi è passata». Insomma oggi che è famoso può permettersi ciò che vuole. «Non cambierò mai, sono folkedelico; per i puristi sono uno scellerato perché rappresento la faccia sporca del folk, quello che non ha regole, come la voce di Neil Young o quella di Ryan Bingham, che a volte sono al limite dell’ascoltabilità ma quanta emozione hanno dentro. Il successo mi permette di continuare a fare quello in cui credo, ma io scrivo sempre le canzoni sul mio taccuino seduto sul balcone, ogni tanto mi chiudo in un rifugio per riposare, insomma invecchio col ritmo giusto. Sono concentrato sul mio tragitto senza sbandare».

E resistendo alla politica, che spesso e volentieri l’ha tirato per la giacca: «La politica mi fa sempre tanta paura e ne sto lontanissimo. Non appartengo a nessun partito ma chiunque venga ad ascoltarmi a qualcosa in comune con me; il mio pubblico è trasversale al massimo. Poi la bandiera è un’altra cosa. Ma per me la vera sfida è esibirsi dove sono diversi da te». Anarchico, guascone, ribelle!?! ma anche cantore della redenzione con brani quali 40 pas . «Ho sempre pregato, a volte in modo tradizionale, a volte non convenzionale perchè non sono un notaio della preghiera. Però credo: le vie del Signore sono infinite ma anche i suoi commandos, nel senso che la fede si manifesta in mille modi». Così lui, da elfo dei «laghée», continua a raccontare con ironia - spesso intinta nel sarcasmo - gioie e miserie del mondo come i suoi eroi, i ribelli Robert Johnson e Woody Guthrie ma anche Celentano e Nino Ferrer. «Le belle canzoni sono già state scritte tutte, il segreto è avere qualcosa da dire. Un esempio è Robert Plant, che è sempre sulla breccia, ha da poco vinto un Grammy ma non canta più Stairway To Heaven o Black Dog. Un altro è John Mellencamp, considerato il fratello povero di Springsteen, che oggi rappresenta l’America on the road meglio del Boss». Ma un personaggio così cosa pensa dei talent show? «X Factor mi piace, è una grande opportunità per chi ha talento. Infatti ho invitato a suonare con me i Bastard Sons of Dioniso, in cui mi rivedo giovane quando suonavo punk.

È una prova, un po’ come un tempo era Giochi senza frontiere. L’importante è che chi si iscrive lo faccia per amore della musica, lo faccia se ha talento e non alla ricerca della notorietà. Perché diventa famoso anche chi spara a tre persone per strada».

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