Cesare G. Romana
da Venezia
È stato un viaggio infinito: partito da Roma il primo febbraio del 2005 e concluso solo ora, a Venezia. La Fenice è ingioiellata di luci e morbida di velluti, Ornella Vanoni e Gino Paoli sono elegantissimi, commossi e autoironici, lui nel ruolo dun pianista un po svanito, lei duna chanteuse che lo sobilla e rimbrotta. Questa la scarna drammaturgia dun concerto che qui, nel tempio veneto della lirica, ha trovato, e per lultima volta, il conforto duna platea affollatissima. Attratta dai dolci vapori dellamarcord? «Spero di no - dice Paoli, settantun anni -, i ricordi vanno reinventati, mai subiti». E Ornella, stessa età, condivide.
Sentite, per esempio, Senza fine, che conclude il recital aperto da Che cosa cè. «Quando la scrissi, quarantasei anni fa - dice Paoli - obbiettarono: non funzionerà, il valzer non va più di moda». Invece incantò perfino Von Karajan, Dean Martin ne invase lAmerica e ora rieccola, attualissima: «Tu trascini la nostra vita, senza un attimo di respiro per poterci ricordare quel che abbiamo già vissuto», appunto. E riecco, non meno attuale, Il cielo in una stanza. Che mai sera vista una così perentoria metafora di come, in amore, lestasi dei sensi sappia tramutare in infinito la finitezza: tantè che «questa stanza non ha più pareti, ma alberi infiniti», e Paoli ne offre, con la magica armonica di Bruno De Filippi, uninterpretazione assoluta.
Bei ricordi, però. Era il 60, lei era una cantante-attrice battezzata dal genio di Strehler, lui un pittore-cantante che - dicevano gli esperti - «non farà mai strada, scrive canzoni incomprensibili». Intanto la musica italiana sembrava incartarsi tra falsetti e belcantismi daccatto, non fosse stato per le lepidezze di Buscaglione e di Carosone, e per Modugno, il grande apripista «senza il quale - diceva De André - tutti noi non esisteremmo». Fu qui che Gino, Ornella e altri irruppero sulla scena canora e la sovvertirono. Lui con la sua voce ineducata, lei con quella pronuncia da felino in amore. E se i vecchi soloni storsero il naso, di contro la gente acclamò.
Come ora, in questa sciroccosa serata veneziana in cui la Fenice - e poi il Casinò, con un festoso galà - rende omaggio ai due maestri aprendosi per la prima volta, dopo la ricostruzione, alla canzone. Ne valeva la pena, ché loro due sono straordinari, quarantasei anni di mestiere non passano invano. Lei è in rosso, gran dama, lui in nero. Lei palpitante al microfono, lui al pianoforte. Alle spalle lorchestra di Roberto Martinelli inanella ritmi di panna ed efflorescenze impressioniste, reinventando senza snaturare. «Mi ricordo solo chero innamorato», cantano i due, autobiografici. Ed ecco La gatta, Lappuntamento, Sassi, Domani è un altro giorno, La voglia la pazzia lincoscienza lallegria. E Averti addosso, Ornella da brividi. E Una ragione di più, La musica è finita, Teresa, Io che amo solo te con un violoncello che scava nellanimo. «Ché - dicono i due - ci sono amici che hanno fatto un pezzo di strada con noi, poi qualcuno si è fermato prima»: dunque ricordiamoli, De Moraes, Endrigo, Bindi, nel modo meno retorico e più appropriato, cantandoli. Non basta? Arriva Sapore di sale, «che è - suol dire Ornella - la canzone più carnale di Gino». E a cantarla è, questa volta, il pubblico, del resto «la canzone è unarte povera - teorizza lautore - ma ha un vantaggio, rispetto alle altre arti: che diventa di chi la usa, come un attrezzo».
Si viaggia, insomma, tra pagine che sono tappe della loro storia, di Gino e di Ornella, ma anche della nostra. Dagherrotipi di ieri e insieme nitidissime istantanee di oggi, talché lieri e il domani non sono che un oggi lunghissimo, e le due voci lo possiedono tutto. Perché poi, tra laltro, a sgretolare ogni muro tra il passato e il presente, i due intonano Boccadasse.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.