Varese fatta in casa torna nel grande basket sognando un Meneghin

SIMBOLI Non solo il grande Dino, ma un segretario novantenne come memoria storica e una dinastia di massaggiatori in panchina

Tamburi lontani sul Sacro monte varesino dove si ascolta volentieri il canto libero di Giacomo Galanda, campione d’Europa nel 1999, capitano dell’Italia argento olimpico, di una nazionale che senza di lui è diventata sabbia, tre scudetti in tre città diverse, uno che ha accettato anche la seconda serie per ridare a Varese il suo basket, quello di serie A. Gek e il suo cervello fino per i sogni della Cimberio cha ha già vinto la partita degli abbonamenti, oltre duemila, che per l’esordio di domenica a mezzogiorno contro la Milano rinnovata ed ancora più ambiziosa nella seconda stagione dentro l’isola Armani, vive una vigilia elettrica, ma sembra saggia abbastanza per ascoltare il messaggio che arriva dal bosco: la felicità sta anche nel conoscere i propri limiti e, soprattutto, nell’amarli.
Ecco quale sarà la Varese tornata in serie A dopo una stagione, quella che domenica a mezzogiorno su Sky aprirà l’88° campionato di basket in una giornata televisiva tutta dedicata a questo sport che deve assolutamente ascoltare le parole del presidente federale Dino Meneghin, uno che a Masnago, con la maglia dell’Ignis, ha dato, oltre al talento, il suo cuore, conquistando scudetti e coppe, e a Milano, con i colori dell’Olimpia, la sua seconda vita sportiva, vincendo ancora tantissimo: «Sono disposto a tutto pur di rilanciare il basket: usatemi».
Certo che lo useremo, anche perché ci manca sempre un personaggio come lui sul campo: non lo vediamo nella Varese che Stefano Pillastrini, modenese come Livio Proli, il presidente dell’Armani, ha ricostruito a sua immagine e somiglianza, tanto lavoro, molta umiltà. Ma non lo vediamo nemmeno dentro la nuova Olimpia che cerca gloria europea e non sembra spaventata dalla rincorsa verso la montagna incantata dove Siena difenderà il titolo che non le sfugge da tre anni.
Pensi a Varese e ti commuovi leggendo che Augusto Ossola, 90 anni, segretario dell’Ignis ai tempi del cumenda Giovanni Borghi, che presto tornerà nei nostri sogni in un film pensato dal regista Martinelli, tesoriere della società fino al 1990, lui che c’era anche quando il club nacque nel 1945, e quando, nel 1961, vinse il primo dei dieci scudetti con stella che trovi nel cielo del Palazzo, ha regalato al giovane presidente Claudio Maria Castiglioni, uno capace di crescere ammettendo gli errori, la sua raccolta storica di giornali dedicati al basket, quelli che ha collezionato dal 1968 al 2001.
Pensi a questa Cimberio e la senti pronta ascoltando il messaggio di Sandro Galleani, il fisioterapista psicologo che ha sussurrato ad ogni tipo di cavallo in maglia varesina e che ora ha lasciato il posto al figlio Claudio, l’uomo dalle mani d’oro che «ce lo è stato davvero bandiera» come gli diceva il professor Nikolic, suggerendogli il titolo per il suo bel libro di ricordi.


Lui crede in questa squadra neopromossa capitanata dal Gek Galanda che considera un genio, perché la varesinità di molti giocatori presenterà al campionato una squadra vera che piacerà al suo popolo, quello che riempiva le tribune anche in A2. Per lui, che stravede pensando a caterpillar Martinoni, classe 1989, ci sono già le basi per rifare la stessa strada che nel 1999 portò alla stella dopo una notte passata ancora in A2.

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