Roma - E vai così, c’è un timido buio quando il vocione di Vasco cita addirittura Spinoza: «Chi detiene il potere ha sempre bisogno che la gente sia affetta da tristezza». E poi, giusto un secondo dopo, ecco il perché di questo concerto: «Noi siamo qui, questa sera, per portarvi un po’ di gioia». Gioia!
Vasco è Vasco e il pubblico è quello di Vasco, incontenibile, uno tsunami emotivo che immaginatevelo, lo stadio Olimpico: una bolgia o un paradiso, a seconda di come lo vedete. Comincia così, comincia con il brano Qui si fa la storia questa tournée, con la band che orgogliosamente prende posto, con la batteria che inizia a sbuffare, con Vasco col giubbottone blu elettrico che corre come se avesse vent’anni e non gliene fregasse nulla dei trentasei che ha di più e che ha trascorso inseguendo il rock. Lui è quel puntino lì che si vede sul palco immenso, sotto le luci prepotenti, davanti a un fondale di specchi convessi che moltiplica anzi centuplica le note e le sparge fin là in fondo, sulla curva nord dove la musica plana sugli striscioni, sulle braccia alzate, sulla gente che proprio non se l’aspettava un Vasco così giovane. D’altronde il segreto di ogni musicista è questo: crescere en plein air, farsi vedere senza pietà e senza riserbo, cambiare sempre e quindi invecchiare mai. Perciò questo è un concerto che neppure per un minuto è autocelebrativo come di solito quelli delle vecchie glorie: è duro, è «tosto» come ha detto lui e si capisce dal piglio delle chitarre di Cosa importa a me o Dimmelo te, dal disincanto maschio di La noia e dall’ironia maschilista di Colpa del whisky che si prende una botta d’applausi da far tremare i muri. Molti meno, invece, quando in Non appari mai, cambia i versi e li canta ironicamente così: «Qui siamo tutti belli e buoni, votiamo tutti Berlusconi».
Comunque, la spina dorsale del concerto (che sarà a Milano il 6 e 7 giugno e all’Heineken Jammin’ Festival di Venezia il 21) è l’ultimo disco Il mondo che vorrei, preso di peso (8 brani su dieci) e portato sul palco come a dire: eccomi qui, questo sono io, adesso.
Vasco gironzola in scena, lotta con il pubblico che vorrebbe cantare tutti i brani ma non può, si spiega più con le espressioni del volto che con le parole e lascia che il rito, ossia il concerto più atteso dell’anno da vent’anni, si snoccioli lentamente, allegramente, rigorosamente. È «l’effetto Vasco», inarrestabile, capace di fagocitare tutto il resto. E così, tanto per dire, lo speciale che va in onda su Raidue in diretta e in concomitanza con il concerto (intitolato appunto «Effetto Vasco, uno nessuno centomila» che mostra tre brani, l’apertura, Il mondo che vorrei e la conclusiva Albachiara) ha addirittura fatto spostare Annozero, con Santoro furibondo, obbligato ad andare in onda oggi mentre su Raiuno c’è la Nazionale e probabilmente Ballarò vincerà la sfida settimanale degli ascolti. Roba di palazzo, vista da qui. Roba dell’altro mondo mentre va in scena il primo medley della serata (Ormai è tardi, Non mi va, Ci credi, Susanna, Sensazioni forti, Deviazioni, Asilo republic, Colpa d’Alfredo) e Vasco è fradicio di sudore e adrenalina.
Alle sei del pomeriggio, come fa sempre, ha mangiato il suo bel piatto di pasta perché «ci vuole energia» e alle undici e mezza eccola ancora questa energia: il concerto dura due ore e quaranta, con venticinque brani, tanta grinta, un po’ di cazzeggio, un’incredibile empatia tra l’artista e il pubblico che canta, esulta, ammutolisce solo qualche volta come quando, dopo il secondo medley (questa volta acustico: Toffee, Ridere di te, Brava Giulia, Dormi dormi, Va bene va bene), si ritrova Vasco da solo con il pianoforte che richiama la Vita tranquilla di Tricarico e poi
inizia quella «spericolata», cantata dolcemente, viziosamente, a squarciagola finché inizia Albachiara e poi le luci si spengono ma la gente rimane ancora lì, davanti al Vasco che invecchia diventando sempre più giovane.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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