Il Vaticano: non condannate a morte Saddam

Rapito e trucidato a Bagdad il legale più importante dell’ex raìs: è il terzo avvocato difensore assassinato dall’inizio del processo

Fausto Biloslavo

Il Vaticano invoca clemenza per Saddam Hussein a 48 ore dalla richiesta di pena di morte avanzata con forza dalla pubblica accusa nel processo che vede l’ex raìs alla sbarra a Bagdad. «La vita umana è sempre inviolabile», ha dichiarato ieri il cardinale Paul Poupard, responsabile alla Santa Sede per i rapporti interreligiosi. «La vita è un dono e questo - ha affermato il porporato - è un principio universale e non ci sono eccezioni. Ogni creatura, anche la più disgraziata, è stata creata a immagine e somiglianza del Signore. Dio è maestro della vita e della morte». Poupard ha sottolineato che l’avversità alla pena capitale, anche per un brutale dittatore come Saddam, è ribadita «dal catechismo, dalla Chiesa e dal Papa». Giovanni Paolo II era intervenuto fermamente contro la guerra in Irak e fino all’ultimo il Vaticano continuava a tenere aperto un canale di dialogo con il regime di Bagdad. Il contatto della Santa Sede è sempre stato Tarek Aziz, il cristiano caldeo, vicepremier del regime. Oggi Aziz è malato e verrà processato come gli altri gerarchi del regime al tribunale speciale che sta giudicando Saddam.
Mentre il Vaticano rendeva noto l’appello alla clemenza per Saddam, uno dei suoi avvocati veniva sequestrato e poche ore dopo ucciso. Verso le 7 di ieri mattina un gruppo di individui con la divisa della polizia sono andati a prendere a casa Khamis al Obaidi, uno dei difensori di punta di Saddam che si trovava in aula quando il pubblico ministero ha chiesto la pena di morte. «Dobbiamo interrogarlo», hanno spiegato gli uomini armati alla moglie. Poche ore dopo il corpo del legale è stato lanciato fuori da un’auto in corsa vicino a Sadr city, il quartiere povero di Bagdad, roccaforte degli estremisti sciiti. Un negoziante che ha visto tutto giura di aver sentito qualcuno urlare dall’interno dell’auto: «Questo è il destino dei baathisti», ovvero dei fedeli del partito Baath al potere ai tempi di Saddam.
Al Obaidi aveva otto proiettili in corpo e ambedue le braccia spezzate. Il cadavere è stato gettato sotto un grande ritratto del padre di Moqtada Sadr, un carismatico religioso sciita ucciso dagli sgherri di Saddam. Suo figlio è diventato il piccolo Khomeini iracheno a capo dell’Esercito del Mahdi, una milizia pesantemente infiltrata nei ranghi della polizia. Il capo del collegio difensivo di Saddam ha puntato subito il dito contro gli «squadroni della morte» sciiti. «Consideriamo gli americani, il governo iracheno e in particolare le milizie responsabili dell’uccisione di Al Obaidi», ha dichiarato dalla Giordania, dove vive, Khalil al-Dulaimi.
Al Obaidi è il terzo avvocato di Saddam ucciso dall’inizio del processo. In ottobre, il giorno seguente all’udienza d’apertura, era stato rapito il difensore Saadoun al-Janabi. Lo hanno ritrovato poco lontano dove è stato abbandonato ieri il cadavere del suo collega. Circa tre settimane dopo il legale Adel al-Zubeidi era stato assassinato nella capitale in un’imboscata alla luce del sole. Come per il caso di Al Janabi, anche l’omicidio di ieri solleva numerosi interrogativi. Ambedue le vittime tenevano una linea tecnica di difesa, meno propagandistica e urlata dei loro colleghi provenienti dall’estero. Non facevano riferimento all’illegittimità del tribunale e alla carica di presidente di Saddam, bensì ai fatti. Il sospetto che era circolato nella capitale fin dal primo omicidio è che si trattasse di un tentativo dei sunniti ancora fedeli a Saddam di incolpare le milizie sciite, facendo trasferire il processo all’estero per motivi di sicurezza.
La faida etnico-religiosa in Irak ha provocato ieri un sequestro in massa di circa 100 operai di una fabbrica di Taji, 20 chilometri a nord di Bagdad, infestata dalla guerriglia. Secondo un ingegnere che ha visto il rapimento, i lavoratori sono quasi tutti sciiti, mentre la zona è sunnita. Una cinquantina di uomini armati hanno circondato i due autobus e un pulmino che doveva riportare a casa i lavoratori.
Ieri la Shura dei mujaheddin, che raggruppa le formazioni più oltranziste compresa Al Qaida, ha annunciato in un comunicato la condanna a morte dei quattro russi rapiti nella capitale il 3 giugno.

Il tribunale della legge islamica, che decide la sorte degli ostaggi ha decretato di «far calare il giudizio di Allah che impone la loro uccisione in nome della Shariah e dei nostri fratelli il cui sangue ha macchiato la mano dei russi». Il riferimento è ai guerriglieri islamici della Cecenia, dalla quale i sequestratori avevano chiesto il ritiro in cambio della vita degli ostaggi.

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