Fumata bianca

Israele e Santa Sede: un rapporto ormai compromesso?

Le tensioni tra ambasciata israeliana e il segretario di Stato Pietro Parolin rivelano il logoramento delle relazioni tra Vaticano e Tel Aviv. Ma il Papa non vuole perdere il dialogo col mondo islamico

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In tempi di Google Translate e di DeepL, le traduzioni imperfette rischiano comunque di provocare incidenti diplomatici. È quello che è successo questa settimana sull'asse Vaticano-Tel Aviv. Un asse che, in ogni caso, era ed è rimasto caldo nonostante il chiarimento distensivo dell'ambasciatore israeliano Raphael Schutz sul giudizio dato alle parole del cardinale segretario di stato Pietro Parolin.

I fatti

"Credo che tutti siamo sdegnati per quanto sta succedendo, per questa carneficina ma dobbiamo avere il coraggio di andare avanti e di non perdere la speranza". Il commento di Parolin a margine del tradizionale incontro con le autorità italiane a Palazzo Borromeo per l'anniversario dei Patti Lateranensi ha provocato una reazione durissima da parte dell'ambasciata di Israele presso la Santa Sede. A nulla è valsa la premessa del numero uno della Segreteria di Stato sulla "condanna netta e senza riserve di quanto avvenuto il 7 ottobre" e "di ogni tipo di antisemitismo". La nota di risposta dell'ambasciata, in italiano, ha definito l'affermazione di Parolin "deplorevole". "La responsabilità della morte e della distruzione a Gaza (è) di Hamas e solo di Hamas. Questo viene dimenticato troppo spesso e troppo facilmente", sentenziava la nota. Poi, sul finale, un altro affondo al capo della diplomazia della Santa Sede: "non è sufficiente condannare il massacro genocida del 7 ottobre e poi puntare il dito contro Israele riferendosi al suo diritto all'esistenza e all'autodifesa solo come un semplice atto dovuto e non considerare il quadro generale". Parole talmente dure che avevano portato un politico navigato come Pierferdinando Casini ad intervenire con una nota che giudicava "francamente un po' eccessivo" il commento dell'ambasciata.

La precisazione

Alle polemiche è seguita una precisazione dell'ambasciatore israeliano Raphael Schutz che, ammettendo di non conoscere benissimo l'italiano, ha chiarito di aver utilizzato nella nota la parola inglese "regrettable" che nel caso specifico andava tradotta con "sfortunata" e non "deplorevole". Una puntualizzazione che ha gettato acqua sul fuoco, ma non troppo. Questo perché l'irritazione israeliana per la presa di posizione del principale collaboratore del Papa è reale e il ricorso ad un aggettivo più "morbido" non cambia la sensazione di un rapporto ai minimi storici nelle relazioni israelo-vaticane. Non è un mistero che chi sta dalla parte del governo di Tel Aviv si sia fatto l'idea di una Santa Sede troppo equidistante sull'escalation causata dagli attentati dello scorso 7 ottobre. Quella di Parolin non è solo una posizione gradita al patriarcato latino di Gerusalemme, ma trova probabilmente la condivisione del Pontefice che ha rivelato di essere solito chiamare ogni giorno la parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza per informarsi sulle condizioni della popolazione. Parlare di "carneficina" non equivale a parlare di "genocidio", come ha fatto con coda di polemiche il cantante Ghali sul palco di Sanremo, ma esprime in ogni caso un giudizio di biasimo evidente da parte della Santa Sede per la reazione israeliana dopo lo shock del 7 ottobre.

L'insofferenza del Papa

Proprio ieri Francesco ha ricevuto in Vaticano il presidente della Mezzaluna Rossa palestinese Younis Al Khatib. Un incontro agevolato dall'intermediazione del presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca che è stato presidente della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. Al centro del colloquio proprio la situazione umanitaria a Gaza e in Cisgiordania. Con il passare dei mesi, l'insofferenza di Francesco per l'operazione militare israeliana è divenuta sempre più evidente e i ripetuti appelli al cessate il fuoco stanno lì a dimostrarlo. Oltre alla preoccupazione per la popolazione palestinese, bisogna tenere in considerazione anche lo sguardo privilegiato che questo pontificato ha dimostrato di avere nei confronti del mondo islamico sin dall'inizio. La linea tenuta dalla Santa Sede di fronte all'accentuarsi delle tensioni nel conflitto israelo-palestinese ha evitato di chiudere definitivamente il già difficile dialogo con l'Islam ma ha inevitabilmente portato scossoni nelle relazioni con Israele.

Anche quando la fase acuta della crisi sarà superata, non è detto che l'asse vaticano-israeliano tornerà quello di un tempo.

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