
Nuove ombre si allungano sul delitto di Chiara Poggi, la 26enne uccisa il 13 agosto 2007 nella sua abitazione in via Pascoli. A quasi vent’anni di distanza, la riapertura delle indagini da parte della procura di Pavia riporta l’attenzione su un dettaglio rimasto a lungo sepolto tra le pieghe del fascicolo: tre profili genetici femminili, rinvenuti in zone cruciali della casa, mai identificati e ignorati nelle analisi successive.
La nuova pista investigativa punta ora sull’ipotesi che il killer non fosse solo all’interno della villetta al momento del delitto. Tra i nomi emersi, anche quello di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, indagato per concorso in omicidio con altre persone. Ma a far discutere sono soprattutto i reperti prelevati dai carabinieri del RIS di Parma nei giorni immediatamente successivi all’omicidio.
Tracce dimenticate
Nel dettaglio si tratta di tre campioni biologici:
- Reperto 57: DNA femminile sulla maniglia della porta a soffietto che conduce alla cantina, luogo in cui fu ritrovato il corpo di Chiara;
- Reperto 59: traccia genetica sulla leva del miscelatore del bagno, dove si ipotizza che l’omicida si sia lavato;
- Reperto 60: ulteriore DNA femminile sulla maniglia della porta d’ingresso.
Secondo quanto riportato da Il Tempo, questi reperti vennero etichettati nel 2007 come “profili X”, quindi non associabili né a Chiara né ad altri soggetti noti. Nessuna comparazione fu effettuata con le donne che frequentavano abitualmente casa Poggi, nonostante la posizione rilevante dei reperti. Gli esami non diedero risultati utili, probabilmente per la bassa quantità di marcatori genetici presenti.
Le contraddizioni con le dichiarazioni di Stasi
Un altro dettaglio che solleva interrogativi riguarda la porta a soffietto della cantina. Alberto Stasi, all’epoca fidanzato della vittima e poi condannato in via definitiva a 16 anni per omicidio, dichiarò di averla trovata chiusa e di averla aperta per ritrovare Chiara. Eppure, su quella porta non furono rilevate sue impronte né tracce di DNA. Furono invece rinvenute le impronte del fratello Marco Poggi, oltre a due digitali e una palmare mai attribuite.
Anche sulla maniglia del portone d’ingresso, che l’assassino avrebbe dovuto toccare per uscire, nessuna traccia riconducibile a Stasi. Il DNA femminile rinvenuto in quei punti chiave rimane tuttora senza un nome.
Una pista mai esplorata
Nonostante la rilevanza dei reperti, le indagini dell’epoca si concentrarono principalmente su Alberto Stasi, tralasciando l’approfondimento su queste anomalie. Nessuna verifica sistematica fu effettuata per cercare di attribuire il DNA femminile a eventuali altre frequentatrici della villetta, né vi furono ulteriori analisi sul lavabo del bagno, dove si suppone che l’omicida si sia ripulito.
Oggi, con la riapertura delle indagini e una nuova attenzione sugli elementi trascurati, questi
profili genetici tornano al centro dell’inchiesta. La speranza degli investigatori è che le tecniche più avanzate di analisi del DNA possano finalmente fare luce su uno dei misteri più discussi della cronaca nera italiana.