Vecchie abitudini paure e pregiudizi Siamo i nemici dei nostri soldi

Guardiamo più al passato che al futuro, non distinguiamo ragione ed emozioni I meccanismi della mente condizionano le scelte dei risparmiatori. E fanno solo danni

Vecchie abitudini paure e pregiudizi Siamo i nemici dei nostri soldi

Sesso e soldi. Tutto gira lì intorno. «Sono i tradizionali tabù della nostra cultura», spiega Paolo Legrenzi, 74 anni, uno dei grandi vecchi della psicologia italiana, professore emerito alla veneziana Ca' Foscari. «Di sesso ormai si parla continuamente, e all'apparenza anche di soldi: ci si confronta sui costi della colf, o sul prezzo di una macchina. Ma un muro è rimasto. Ce ne accorgiamo quando dobbiamo rispondere alla domanda: quanti soldi hai, quanto vali finanziariamente, qual è il valore del tuo patrimonio? In America non è così: Trump si vanta della sua ricchezza, è portato addirittura ad esagerarla. Da noi è diverso. Ci si va a confessare dal consulente finanziario, ma si fa fatica a raccontargli tutto. C'è perfino chi apre addirittura più di un conto corrente, per il solo motivo di non far conoscere a nessuno, nemmeno all'impiegato della banca, quanti soldi ha davvero. E molti disastri nascono proprio da qui».

LA LOGICA DELLE EMOZIONI

Sì, perché la diffidenza e la paura finiscono a volte per fare brutti scherzi: chi per una vita ha frequentato solo i Bot, si lascia poi convincere da un consulente che ha saputo toccare i tasti giusti a imbottire il portafoglio di pacchetti di obbligazioni subordinate destinate a perdere ogni valore. E non è solo questione di scarse conoscenze finanziarie. Anzi. Legrenzi ne è convinto: «Il problema preliminare non è affatto sapere la differenza tra un Btp e un Cct. La questione è conoscere la nostra mente. Perché un sacco di strategie decisionali ed emotive che nella vita magari funzionano, se trasferite alla gestione del risparmio si rivelano un disastro. La vera ignoranza ignorata è questa». Al tema Legrenzi ha dedicato studi, interventi pubblici e un libro pubblicato poche settimane fa: L'economia nella mente pubblicato da Raffaello Cortina Editore e scritto con Armando Massarenti, filosofo della scienza e responsabile del supplemento culturale Il Sole24Ore-Domenica. Il sottotitolo chiarisce l'obiettivo: «Come evitare le trappole che fanno perdere soldi». Le trappole sono i meccanismi mentali, emotivi e cognitivi, che si riflettono sulle decisioni finanziarie e che, se ignorati, possono influire sulla bontà finale delle scelte compiute. Il filone è quello della cosiddetta «economia comportamentale», nata negli Stati Uniti negli anni Settanta, e poi entrata trionfalmente nei piani di studio di tutte le università del mondo quando nel 2002 il premio Nobel per l'Economia fu attribuito a uno psicologo israeliano, Daniel Kahneman, che ha dimostrato una volta per tutte che gli agenti economici, e i risparmiatori in particolare, non sono quegli essere perfettamente razionali («una via di mezzo tra Einstein e un supercomputer», ha scritto uno studioso) presi in considerazione dalla microeconomia classica. Piuttosto, come in tutti gli altri campi della vita sociale, sono soggetti alle leggi, e ai tranelli, messi in luce dalla psicologia.

Così un po' di autoanalisi diventa utile anche per affacciarsi sui mercati finanziari, alla scoperta per esempio delle «scorciatoie» cognitive che la mente imbocca per prendere delle decisioni quando il numero di informazioni da valutare cresce. Una delle più tipiche è per esempio la «sindrome dello specchietto retrovisore».

ERRORI DI METODO

Chi nel passato ha investito in case ci ha spesso indovinato. I prezzi in ascesa su quasi tutti i mercati e l'inflazione neutralizzata dalla solidità del mattone hanno garantito in molti casi apprezzabili rendimenti e plusvalenze. Poi la situazione è cambiata: quotazioni (e inflazione) in calo, aumento del peso del fisco hanno assottigliato la rendita immobiliare. Eppure in molti hanno fatto fatica a capire che la ruota era girata. «Continuare a compiere le scelte che si sono rivelate premianti nel passato è istintivo ma può rivelarsi inefficace», spiega Legrenzi. «Si rischia di trascurare i cambiamenti avvenuti nel frattempo. È, appunto, come guidare guardando nello specchietto retrovisore, senza tener conto di quello che c'è davanti, della situazione attuale, quella personale e dei nostri risparmi».

I meccanismi analoghi, in grado di influire in modo più o meno sotterraneo, sulle nostre decisioni di investimento, sono numerosi: si va dal cosiddetto errore di conferma (la tendenza a dare più peso alle conferme del proprio punto di vista, tralasciando gli elementi che lo contraddicono), alla preferenza per il terreno di casa (scegliere gli investimenti solo basandosi sulle proprie esperienze personali, anziché facendo leva su una osservazione il più possibile obiettiva della situazione).

I danni maggiori però sono prodotti dall'incrocio tra emotività e necessità di compiere scelte razionali. Il caso più interessante nasce dall'asimmetria tra la soddisfazione che si prova per l'aumento di valore di un investimento e il dolore percepito per un investimento in perdita. Una minusvalenza colpisce molto di più l'investitore. Anzi, dice Legrenzi, «il contrasto tra il paradigma della scelta razionale degli economisti e, all'opposto, il comportamento reale dei risparmiatori raggiunge il suo apice quando una parte del portafoglio è in perdita. È quasi inevitabile in un portafoglio diversificato. Eppure rimane sempre uno scenario a cui è difficile adattarsi». Il risultato è che «i risparmiatori tendono a tenersi le perdite e vendere i guadagni, fondando la propria scelta sulla propria storia personale anziché sulle potenzialità concrete dei titoli». E così contribuendo spesso a un ulteriore calo di valore del proprio portafoglio.

STRUMENTI SBAGLIATI

«Un altro aspetto di cui tener conto è che il risparmiatore ha paura delle cose paurose e non di quelle pericolose», aggiunge Legrenzi. Tende cioè a sopravvalutare i rischi legati a ciò che gli fa paura, compiendo così una valutazione puramente soggettiva, rispetto a ciò che è davvero rischioso in base a una valutazione oggettiva (statistica). Anche in questo caso Legrenzi usa il termine «assicurazione comportamentale», in opposizione a quella «classica», quella sottoscritta in base al paradigma della pura razionalità. A questo atteggiamento si aggiungono altre due trappole mentali in cui gli italiani cadono volentieri: la cosiddetta «overconfidence», l'eccesso di fiducia nella propria capacità di controllare gli eventi, e la già osservata sindrome dello specchietto retrovisore, la convinzione che le cose andranno come sono sempre andate.

Gli elementi del quadro fanno sì che il nostro sia uno dei Paesi europei meno assicurati. Per proteggersi dall'incertezza, insomma, la polizza non piace. Ma si tenta di raggiungere ugualmente l'obiettivo con altri mezzi, impegnando cioè gran parte del patrimonio secondo la logica prudenziale del «non si sa mai».

Si investe in case (sicure per definizione, nonostante i recenti e dolorosi cali delle quotazioni) e in attività liquide o semiliquide, a rendimento di fatto a zero, ma a rischio ridotto. Il problema? Che la scelta non vale la protezione di polizze vere e condanna il risparmiatore a ritorni dell'investimento poco più che simbolici.

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