Il vecchio «Candido» aveva firme da «parterre de rois»

Caro Dottor Granzotto, mi è capitato fra le mani, chissà come, il numero di «Candido» del 16 Maggio 1948. Ne ero accanito lettore e me lo gustavo voluttuosamente benché fossi solo diciassettenne. Ebbene, nella prima pagina di quel numero ho trovato un articolo di Montanelli dal titolo: «Senatore, come la mettiamo?». In esso si faceva riferimento alle promesse fatte ai suoi operai da un industriale di nome Ludovico Targetti, titolare di un «Linificio Targetti». Questo signore era stato eletto senatore nelle file del Pci. L’articolo di Montanelli era molto caustico poiché evidentemente il sullodato non aveva ancora mantenuto i suoi impegni. Mi ha preso una curiosità inspiegabile di saperne qualcosa di più. Oltretutto non ricordavo che il nostro Indro avesse collaborato con Giovannino nostro. Mi piace dirle, senza piaggeria, che il terzo «nostro» è per me Paolo Granzotto.


Grazie, caro Demarchi, per avermi annoverato fra i «suoi», ne sono lusingato e vorrei tanto appagare la sua curiosità, ma del Ludovico Targetti del «Linificio Targetti» poco ne so. Anzi, ne so zero. Montanelli - ne fa atto la copia che le capitò fra le mani - collaborò al primo «Candido», quello della direzione Guareschi-Mosca. Trovandosi in un parterre de rois tenuto a stecchetto dalla leggendaria Segretaria di redazione Rossana Manca di Villahermosa. Con Indro collaborarono al «Candido» scrittori e giornalisti noti o che si accingevano a diventarlo, come ad esempio Pietrino Bianchi (che si firmava Volpone), Oreste del Buono (Strabicus), Vittorio Metz (Gaius), Nino Nutrizio (Domenico Pomeriggio), Enrico Mattei (Quirinetto), Lorenzo Bocchi (Lorenzaccio), Jader Jacobelli, Teodoro Celli, Giorgio Torelli, Lino Rizzi, Leo Longanesi e Vittore Castiglioni che bruciando con largo anticipo il petulante, tedioso Flores d’Arcais si firmava Micromega. In quanto a Targetti, l’unico che si ricordi nelle cronache del Palazzo si chiamava Ferdinando ed era un parlamentare socialista, non comunista (anche se allora l’uno era la zuppa, l’altro il pan bagnato). Vicepresidente della Costituente, Ferdinando Targetti capeggiò un manipolo di socialisti che per conto di Palmiro Togliatti si battè anima e corpo per emendare la prima versione dell’articolo uno della Costituzione - «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», che già, pur essendo aria fritta, richiamava lo spirito del comunismo - in un più decisamente trinariciuto «L’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori». Il dibattito in Aula toccò momenti al calor bianco, ma l’«emendamento Targetti» non passò, con grande scuorno e del presentatore e del mandante. Quel «Migliore» che precedentemente, in pieno congresso del Pcus, ebbe a dichiarare: «È per me motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere dieci volte più del migliore italiano».

Questo per dire, caro Demarchi, la grammatura del sentimento nazionale, non vorrei dire patriottico, di chi teneva a catena quasi la metà dei padri costituenti impegnati a redigere la Carta che tuttora vincola noi miserabili mandolinisti.
Paolo Granzotto

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