Cultura e Spettacoli

Vecchioni: "Siamo figli di tempi tormentati, non di Internet"

Il cantautore milanese: "Canto arie sacre, a ottobre ne farò un cd". E sulla sua ultima fatica letteraria:"In scacco a Dio racconto una divinità piena di dubbi"

Vecchioni: "Siamo figli di tempi tormentati, non di Internet"

Dio, credere o non credere, che fine faremo dopo la morte. Temi che da sempre angosciano l’uomo. Qualcuno, più fortunato di altri, li affronta attraverso l’arte, magari come panacea per uscire da un annus horribilis di sofferenze personali. È il caso di Roberto Vecchioni, che con una serie di concerti «sacri» e il romanzo Scacco a Dio va in cerca di un nuovo umanesimo e della vera spiritualità. Il professore porta in giro per l’Italia il concerto Incantus dove, accompagnato da cinque archi, canta lo Stabat mater di Jacopone, arie di Händel unite a pagine musicate di Papa Giovanni, Madre Teresa, Neruda. Un concerto di successo che a novembre diventerà un cd. Ma dove Vecchioni ha dato il massimo è il romanzo a racconti Scacco a Dio, dove un Dio umano, in crisi esistenziale, che si trasforma ora in pittore del Rinascimento, ora in chitarrista rock non riesce più a capire gli uomini. «Sembra che gli uomini lo facciano per farmi dispetto - dice Dio - arrivati a un certo punto è come se incidessero un’altra linea della vita sulla mano. E spacciano questa falsa libertà per uno scacco a me. Ecco cosa mi tormenta e cosa voglio capire: dove ho sbagliato?».

Quanto siete cambiati, lei e gli altri cantautori, rispetto agli anni Settanta e ai cantautori di oggi...
«Oggi il linguaggio dei cantautori è più immediato, riflesso della globalizzazione, di Internet che fa arrivare ogni cosa in tempo reale. Noi eravamo tormentati, meditavamo troppo. I nostri brani erano frutto di travagliate riflessioni, eravamo verbosi, ma in un certo senso più profondi».

Ora ha intrapreso un percorso molto più complesso.
«Sono partito per un viaggio che non finirà mai alla ricerca di Dio. Indago nei meandri dello spirito per illudermi di scoprire l’ignoto».

È partito dai concerti «sacri»...
«Anche qui un’esigenza interiore, un lavoro faticoso perché ho scritto un testo sul Concerto n. 2 in do minore di Rachmaninov. La gente non si aspetta che io canti come Pavarotti, l’importante è commuovere, che non significa piangere ma godere delle stesse emozioni».

Doveva tenere cinque spettacoli, invece ne sta facendo una valanga e uscirà anche un disco.
«Sì, s’è creata un’atmosfera magica. L’appuntamento clou sarà in autunno a Milano, in Duomo o nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. E poi spinto dall’entusiasmo sono entrato in sala d’incisione e il cd InCanto uscirà in autunno».

Nel suo romanzo c’è un Dio un po’ spiazzante e tormentato.
«È un Dio né troppo umano né troppo evangelico. Coi suoi dubbi ci mette di fronte ai problemi. È bello rappresentarlo come un “facitore di trappole”positive. Ci spinge a conquistare la fede; pensi che tristezza avere la certezza di ciò che accadrà. La mia fede è lacerata e rafforzata dai dubbi».

Lei nel libro parla di fede, di dogma e di casualità: come si conciliano queste cose?
«La certezza è la fine della speranza, è la domenica sera. Si va avanti sperando. La vita è come il film Sliding Doors: se quelle porte si aprono va in un modo, se restano chiuse in un altro. E anche la casualità è una manifestazione di Dio. Nel libro cito il cardinale Biffi quando dice: “La casualità è il travestimento assunto da un Dio che vuol camminare in incognito per le strade del mondo”».

Quindi narra a modo suo le storie di dieci uomini famosi...
«Sì, uomini che si sono ribellati al loro destino, o il cui destino avrebbe potuto essere come io l’ho raccontato. Kid, dal cui Hamlet ha preso spunto Shakespeare, lo stesso Shakespeare e Thomas Marlowe, cambiano ruolo e personalità tra loro e il lettore non capisce più chi sia l’uno o l’altro. Oscar Wilde vive sotto falso nome in Francia; Alec Guinness si converte in una chiesa mentre gira un film su padre Brown. È un libro cattolico e al tempo stesso non cattolico».

Come può essere?
«Cerco di avvicinarmi all’aldilà in maniera non bigotta né cialtrona. La mia fede è un miscuglio tra istinto e ragione. Sento che c’è qualcosa sopra di noi che va oltre la visione rosea che ci danno del Paradiso; ho ancora paura della morte ma cerco di capire l’eterno».

E con la scuola ha chiuso?
«Ora insegno all’università. Tengo un corso sui testi letterari in musica.

Da Saffo alla canzone napoletana».

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