nostro inviato a Locri
Non le fasce tricolori dei sindaci, non i gonfaloni policromi delle Regioni dItalia e dei Comuni della Locride. E neppure il grigio tortora delle facce di Prodi, Rutelli e DAlema, i tre re mogi del mondo politico romano che alza gli occhi sulla Calabria solo quando fumano le pistole della ndrangheta (o quando cè da falciar voti, va da sé). Il colore che più resterà impresso nella memoria dei diecimila che ieri erano dentro e davanti alla cattedrale di Locri, stretti intorno alla bara di Franco Fortugno, è il bianco. Il bianco candido dello striscione inalberato dagli studenti delle superiori e quello, immacolato, dei lenzuoli che a decine, a centinaia, pendevano dai balconi della città. Come a dire che lora degli slogan, dei luoghi comuni, delle invettive, è finito. E che non ci sono più parole, ecco.
Le uniche che i locresi perbene (e sono stragrande maggioranza) sono disposti ad ascoltare anche quando suonano come nerbate rivolte verso i tanti che si crogiolano indifferenti, rassegnati o anche solo blandamente, culturalmente collusi con i «don» in quella zona dombra contigua al malaffare; le uniche parole che vogliono sentire sono quelle di monsignor Giancarlo Maria Bregantini, il vescovo trentino venuto undici anni fa e da allora invaghitosi di queste contrade e di questa società aspra e difficile. Il prete venuto dal Nord non ama i giri di parole e le metafore melliflue della politica. Guarda dritto in faccia i Prodi, i DAlema, i Loiero, i La Loggia (venuto in rappresentanza di Berlusconi), e dice: «Lo Stato che oggi cè, vorremmo fosse presente più spesso allinterno delle nostre realtà». I concetti che il vescovo va enumerando sono gli stessi anticipati nellintervista che laltro ieri ha concesso al Giornale. Lo Stato mobiliti le sue strutture investigative e giudiziarie, sostiene Bregantini, senza però dimenticare che la ndrangheta si sconfigge dando prospettive, servizi, infrastrutture, opportunità. No dunque ai tagli della spesa sociale, se non si vuole che che la criminalità organizzata continui a pescare tra le nuove leve dei «senza futuro». Ai calabresi, e alla loro antica atonìa: «Basta pensare in termini di assistenzialismo. Se aspettiamo che le cose ci arrivino dagli altri non costruiremo mai niente». Linvito, rivolto specialmente ai giovani, è di rinunciare alla cultura della violenza e al denaro facile. «Denunciate le estorsioni, lusura». Poi cè lesortazione, ribadita con forza, di tornare ad amare questa terra. «Un compito affidato a ogni prete e a ogni suora, a ogni madre, a ogni maestra. Dunque alla famiglia, alla scuola, alla Chiesa».
Funerale di Stato, con processione di divise e bandoliere, corone di fiori (apre quella di Ciampi, retta da due corazzieri in alta uniforme) e applausi alla bara che giunge sul sagrato della cattedrale (anchessa un po sgarrupata, in linea con la modestia edilizia della Jonica) poco dopo le 16. Dietro il feretro di Franco Fortugno, la moglie Maria Grazia Laganà e i figli. Nega, la signora Laganà, di aver mai lamentato una presunta assenza del governo (come qualche giornale aveva scritto). E ribadisce lassoluta estraneità del marito a vicende legate ad appalti nella Sanità. «Mio marito non aveva a che fare con nessun tipo di appalto. Né in passato, quandera allopposizione e neppure ora, visto che era vicepresidente di un organo legislativo e non di governo come il Consiglio regionale». Ai calabresi un invito: «Reagire. Reagire come farò io per il futuro dei miei figli».
Lidea di Prodi, e quella di DAlema, è di schierare la Forza.
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