Veltroni e il «caso» Emerson, la doppia verità del sindaco

Nel 2004: «Mai parlato del giocatore, faccio un altro mestiere». Ieri: «Sono intervenuto, la Roma era in difficoltà»

Alessandro M. Caprettini

da Roma

Ahi ahi! Il «compagno Perfettini» come Repubblica scoprì era chiamato nel partito, stavolta ne ha fatta una davvero grossa. Forse enorme visto che siamo a soli 10 giorni dal voto per il Campidoglio. Perché ieri, inseguito dai cronisti che volevano saperne di più per la citazione che lo riguardava nei verbali del calcio-scandalo a causa di quel rendez-vous del luglio 2004 da lui organizzato tra Rosella Sensi e Antonio Giraudo, Walter Veltroni se n’è uscito così: «La Roma si era trovata in una situazione molto difficile dopo l’addio di Capello e si era creata una situazione complessa per la cessione di Emerson. Era una questione che rischiava di bloccare il mercato della Roma. E dunque ci trovammo in quella circostanza insieme proprio per cercare di sbloccare quella situazione».
Capito? Si era fatto «mediatore» tra giallorossi e bianconeri juventini per il «puma» brasiliano, che già non è cosa chiara, visto che il sindaco non risulta nei registri dei procuratori calcistici. Ma quello che è più grave ancora è che, andando a spulciare le dichiarazioni dell’epoca si trova questo suo lapidario e offeso riscontro rispetto a qualche sospetto germogliato: «Non abbiamo affatto parlato di Emerson! Questo non è il mio mestiere!».
Ahi benedetta memoria, tallone di Achille di Mr. Perfettini! Ancora una volta gli è venuta meno in un momento topico. Non mancano precedenti. Dichiarò di non essere mai stato nei paesi socialisti, ma un opuscolo assicurò che aveva preso parte a un meeting della gioventù comunista a Berlino est. Nel ’99 criticò violentemente il Pci di Berlinguer, salvo far spallucce poi a chi gli chiedeva come mai lui - che all’epoca era di casa a Botteghe Oscure con responsabilità di rilievo - non si era mai alzato, allora, a segnalare se non le mostruosità, almeno i guasti. Ma già da tempo riscopertosi kennediano e fan di Jan Palach (anche se su Roma Giovani il periodico della Fgci che sorvegliava nel ’76 non c’era il giovane ceco immolatosi ma un paginone centrale dedicato a Mao e alla «necessità di recupero di un clima di solidarietà tra i partiti comunisti e operai del mondo intero»), evitava le repliche. A Ciriaco De Mita che incrociò in Transatlantico e che lo accusò di «opportunismo», replicò serafico: «Che vuoi dire? Che sono comunista? Sono sempre andato controcorrente nel mio partito!». E adesso ecco che torna fuori il calcio di cui era ammaliato, tanto da far pubblicare all’Unità gli album delle figurine Panini nel ’94, sotto la sua direzione. Juventino sfegatato si è trasformato pian piano in giallorosso, forse anche perché Totti si è speso con lui per campagne umanitarie. Resta il fatto che si vantò di avere unito l’inunibile. E che sulla storia rischia grosso dato che da ieri è un tam tam tra i furenti tifosi giallorossi che gli rimproverano la pace con Moggi, ras della mafia del pallone. Piovono accuse al vetriolo per quel rendez-vous al Campidoglio per non fa affondare il vascello giallorosso nella bufera.

Che lui abbia dato una mano è vero: a sorpresa, un mese fa, ecco una strana concessione ai Sensi per costruire una cittadella dello sport integrata da palazzine che si potranno vendere, a nord-est della capitale. Dicono i (pochi) difensori: ma anche Andreotti si mischiò alla Roma per Falcao. Ma il Richelieu dc si mosse per trattenere un campione. Veltroni, per venderlo.

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