Roma - L'antico adagio sugli amici e i nemici e su chi da essi debba guardarci vale anche per il principale aspirante leader del Partito democratico. Walter Veltroni è un seduttore ecumenico, piace ovunque e di amici, anche insospettabili, ne conta un'infinità. Anche se a volte il confine tra amore e avversione appare labile: «Non finché sono vivo», aveva assicurato Massimo D'Alema a chi nel 2006 gli chiedeva perché il centrosinistra non avesse scelto Veltroni al posto di Prodi. E ancora un mesetto fa, poco prima che gli toccasse recitare, con gran rapidità di riflessi, la parte del kingmaker del medesimo Walter, il ministro degli Esteri non nascondeva la propria irritazione contro «il circo mediatico» che «ha già incoronato il nuovo messia», e ammoniva: «Walter non deve avere fretta, tanto sempre da questo tavolo deve passare. E se non calibra modi e tempi rischia di trovarsi solo: i cervelli migliori potrebbero non andargli dietro...».
I nemici dichiarati invece sono pochi: i primi si stanno manifestando solo ora, con l'apertura ufficiale della «gara» delle primarie. In campo a sfidarlo da avversari sono già scesi Rosi Bindi, supportata da un coté prodian-girotondino e dall'esplicito sostegno di Arturo Parisi e Franco Monaco, e Furio Colombo. Ma l'ex direttore dell'Unità oggi senatore dell'Ulivo è tutt'altro che nemico di Walter, e nelle sue interviste di questi giorni non ha nascosto stima e affetto di antica data per il sindaco di Roma. Spiegando però di voler incarnare qualcosa che gli sembra mancare in questa bizzarra campagna elettorale del Pd: il vero spirito antiberlusconiano. Tanto che i maligni assicurano che la candidatura di Colombo non sia affatto giunta sgradita a Veltroni, anzi può essergli utile un concorrente pronto ad appoggiarlo dopo le primarie, e a coprirlo a sinistra raccogliendo quegli umori girotondini che allignano tra lettori dell'Unità e base diessina. Di certo, delle intenzioni del senatore i veltroniani erano a conoscenza ben prima che la candidatura fosse resa pubblica.
Ora si attende che sciolga la riserva anche Enrico Letta, il giovane sottosegretario alla presidenza del Consiglio che sta conducendo la trattativa sulle pensioni. E dire che Walter (che ha ottimi rapporti anche con Pisanu) adora suo zio, Gianni Letta, tanto da sognarlo, in un empito sarkozista, come ministro in un suo governo. Ieri Enrico ha trovato un sostegno importante: quello del ds Umberto Ranieri, presidente della commissione Esteri della Camera e soprattutto pupillo politico di Giorgio Napolitano. È il primo esponente di rilievo della Quercia che si dissocia dal sostegno di «tutto il partito» a Walter annunciato da Piero Fassino, ed è uno strappo in piena regola da quel totem dell'unità diessina che ha portato Pierluigi Bersani a ritirarsi dalla gara «per non disorientare gli elettori». Ranieri non ci sta, vuol «mettersi alle spalle gli steccati di partito», e nella Quercia c'è chi ha fatto subito due più due e dedotto che anche il presidente della Repubblica non sia arruolabile tra i fan di Veltroni. D'altronde non lo è mai stato, dai tempi del Pci, come non lo è un altro grande vecchio migliorista, Emanuele Macaluso.
Fassino invece è amico: in nome di quella unità, sosterrà lealmente la corsa di Walter. Anche se gli è costata la rinuncia alla legittima ambizione di fare lui il leader del Pd, e il giorno in cui lui benediceva la candidatura del sindaco e lo invitava ad accettarla i fassiniani inveivano contro «l'ennesimo accordo tra Walter e Massimo fatto alle spalle di tutti» e ironizzavano: «Siamo pronti a evacuare il Botteghino a mani alzate». Meno amica la moglie, Anna Serafini: basta chiedere ai vigili urbani, più volte chiamati dalla senatrice a intervenire per disperdere la folla chiassosa che esce dai locali sotto casa sua, a piazza delle Coppelle, e ricordare le sue lamentele sullo stato del centro di Roma. Non è certo un amico Prodi, ma questo è comprensibile, e neppure Parisi, che pure ha incoraggiato per primo Veltroni a scendere in campo, ma che si è subito indignato quando ds e Margherita hanno sancito l'accordo sul suo nome. Amico, invece, è Silvio Sircana, il portavoce del premier. Che appena due anni fa, quando era ancora un libero professionista della comunicazione, organizzò per il sindaco un workshop per presentare a Milano il «miracolo Roma». E amico è un altro prodiano doc, Andrea Papini, che ha annunciato il suo sostegno a Walter. Come hanno fatto i sindaci Chiamparino e Cofferati, e poi Francesco Borrelli, don Ciotti, Tina Anselmi, Umberto Veronesi, Innocenzo Cipolletta, Matteo Montezemolo. Di tutto di più, nel manifesto dei 160 vip pro-Veltroni.
Amico è Alberto Michelini, che si è candidato a Roma nel nome di Walter e dell'Opus Dei. E anche Fausto Bertinotti, che ha recentemente rimpianto che a Veltroni sia stato impedito di scendere in campo prima, magari al posto di Prodi, e che condivide con lui l'idea di un centrosinistra in cui un Pd riformista e «moderato» lascia alla sua futura Cosa rossa il monopolio della sinistra doc. Amico è anche Marco Pannella, che ha salutato con un «proprio niente male» il discorso di investitura a Torino. Ma di nemici a gauche Walter ne conta più d'uno: dal direttore di Liberazione Piero Sansonetti (che non ci andava d'accordo neppure all'Unità) a Rossana Rossanda, che gli ha preconizzato un futuro cupo: «presto sarà bello che bruciato». Giampaolo Pansa gli ha dedicato un ritratto al vetriolo, chiamandolo «perdente di successo».
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