Politica

Da Veltroni premier al Tevere-Po Ecco le bufale della stampa estera

«Voi giornalisti stranieri leggete Repubblica e poi scrivete i vostri resoconti sull’Italia con gli occhi di quel quotidiano». Sì, è Silvio Berlusconi che parla nella sede romana della Stampa estera. Ma non in questi giorni. Era l’autunno 1993 e il Cavaliere, non ancora sceso in campo, sosteneva la candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma contro Francesco Rutelli. Ne è passato di tempo da allora, ma le cose non sono cambiate. Berlusconi è un profeta? No, un semplice osservatore.
Il meccanismo si chiama «legge dell’ascensore»; lo spiegò Giancarlo Salemi in L’Europa di carta (Franco Angeli), libro uscito nel 2003. «Ciò che scrive Repubblica a pagina 15 negli avvenimenti di politica interna spesso lo si ritrova il giorno dopo su Le Monde o sul Frankfurter in grande evidenza. E noi a nostra volta il giorno ancora seguente ripubblichiamo la stessa notizia che loro hanno ripreso. Ci facciamo imbrigliare da persone che spesso non hanno fonti proprie. Gli italiani hanno la sindrome della stampa estera. Guardiamo agli altri Paesi europei senza che loro usino lo stesso parametro nei nostri riguardi: Aznar non cambia l’agenda politica spagnola dopo aver letto il Corriere».
Guy Dinmore, fresco corrispondente del Financial Times, ha scritto che il termovalorizzatore di Acerra non funziona, è stato acceso solo il giorno dell’inaugurazione per Berlusconi, e che «i giornalisti italiani non vanno a controllare». Ha scritto pure che per il terremoto in Abruzzo il governo ha stanziato 6 miliardi ma «spalmati in 22 anni». Le fonti? Per il termovalorizzatore, la prima pagina dell’Unità; per la «spalmatura», un articolo in tandem di Repubblica e Unità.
Magari si limitassero a copiare. Gli articoli dei corrispondenti dall’Italia sono un campionario di sfondoni. Nel 2005 l’Economist attaccò il nostro Paese con un servizio dal titolo «Addio dolce vita» sbagliando clamorosamente i dati del deficit pubblico (errore di 5 miliardi di euro) e del debito pubblico (errore di 156 miliardi). In un’altra occasione lo stesso autorevolissimo settimanale britannico confuse il Tevere con il Po.
Ma il capostipite di questa gloriosa tradizione anti italiana è il tedesco Der Spiegel, settimanale analogo al nostro Espresso. Erano gli Anni ’70, quelli che proprio un’intellettuale tedesca, la regista Margarethe von Trotta, definì «anni di piombo». Lo Spiegel andò in edicola con in copertina un piatto di spaghetti condito da una montagna di sugo rosso e una P38 al posto del Parmigiano. Pare che l’autorevole (chissà perché i settimanali stranieri sono tutti autorevoli) newsmagazine non perseguisse finalità politiche ma obiettivi molto più terra terra: convincere i vacanzieri teutonici ad abbandonare le spiagge di Rimini o del lago di Garda per dirigersi in località più sicure, Spagna e Grecia.
Ma è sulla politica che i giornalisti stranieri si divertono a vendere bufale. Nel 2001, in campagna elettorale, ancora l’Economist pubblicò la famosa copertina in cui definì Silvio Berlusconi «unfit», inadatto al ruolo di premier. Liberation titolava in prima pagina in italiano «È pericoloso»; El País ristampava gli editoriali che Umberto Eco scriveva per Repubblica. Si scomodò la lady di ferro, Margareth Thatcher, a difendere il Cavaliere: «In 40 anni di vita politica - scrisse in una lettera al Giornale - non ho mai assistito a una campagna dei mass media su scala europea così feroce come quella scatenata contro Berlusconi. È un tentativo di linciaggio della personalità».
La Thatcher però non aveva ancora letto quello che i fogli stranieri spararono alla vigilia delle elezioni del 2008. L’inglese The Independent, sotto il titolo «Torna Silvio e sarà peggio di prima», prevedeva: «Qualcosa di molto grave potrebbe accadere: la prossima settimana il giullare di corte più buffo d’Europa potrebbe tornare al potere, con tanto di campanellini e ramoscelli solleticanti, pronto a tenerci sulle spine per altri cinque anni». L’Economist, sempre lui, ripetè stancamente il suo editto, «unfit», precisando poi: «Il ritorno del giullare». L’Associated Press si domandava come poteva essere favorito per la vittoria «un cantante da crociera diventato magnate dei media diventato fenomeno politico».
Molti vaticinavano che Berlusconi sarebbe stato vittima della sua stessa «porcata», italianissima parola che richiama il sistema elettorale battezzato «porcellum». Sbagliarono tutto. Ma non gli bastò la brutta figura. Insistettero. Dopo il voto Alexey Bukalov, capo dell’ufficio romano dell’agenzia di stampa russa Itar-Tass, disse che il vero vincitore era Walter Veltroni «che ha costruito una forza politica dal nulla».
«Errare humanum, perseverare diabolicum», dicevano gli antichi. Ma i giornalisti esteri in Italia non sono satanassi: sono di sinistra. Michelle Padovani, ex presidente della Stampa estera e corrispondente del Nouvelle Observateur, era moglie di Bruno Trentin, scomparso leader della Cgil. Dieci anni fa Eric Kusch, giornalista del tedesco Handelsblatt, anch’egli al vertice della Stampa estera, si candidò con I Democratici alle europee raccogliendo la bellezza di 199 voti nel collegio Centro.

E chi fu per tanti anni il corrispondente dall’Italia del sempre autorevole Economist? La giornalista Tana de Zulueta, colei che definì «lepre marzolina» Francesco Cossiga e divenne poi parlamentare (1996-2008), prima con l’Ulivo e poi con i Verdi.

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