Veltroni "sfiora" Fini e confonde gli scrutatori

Il leader Pd vota a poca distanza dal presidente di An. E al seggio si dimenticano di dargli la matita

Veltroni "sfiora" Fini e confonde gli scrutatori

da Roma

Al seggio e poi a casa, una domenica tutta in famiglia. Per prepararsi alla giornata (e nottata) di fuoco che avrà inizio oggi alle 15, con la chiusura dei seggi elettorali e l’inizio degli scrutini.
«Credo di aver fatto tutto quel che era possibile fare, non ci possiamo rimproverare nulla», ripete da sabato Walter Veltroni ad amici, collaboratori e alleati. La campagna elettorale è stata una lunga maratona, e a questo punto i giochi sono fatti: non resta che aspettare i risultati.
Il candidato premier del Pd è andato a votare alle undici di mattina, nel suo seggio di Via Novara, nel quartiere Trieste di Roma, a un passo da Porta Pia. Lo stesso in cui, più o meno alla medesima ora ma al piano di sopra, votava il suo vicino di casa Gianfranco Fini. Con Veltroni c’era la moglie Flavia, che come in una vera campagna all’americana lo ha seguito per tutto l’interminabile viaggio in pullman attraverso le 110 province italiane, e le due figlie Martina e Vittoria, rientrate a Roma per l’occasione. La prima da Torino, dove collabora sul set di un film di Maria Sole Tognazzi; la seconda, ancora al liceo, appena tornata da un semestre di scambio scolastico in quel di Boston, Massachusetts.
Nessun commento politico, nessuna valutazione, nessuna previsione: nonostante l’assedio dei cronisti, Veltroni ha mantenuto graniticamente il suo «silenzio elettorale». Ha fatto il suo bravo quarto d’ora di fila (a Roma i poveri elettori si ritrovano tra le mani cinque lenzuolate di schede, dal Senato ai Municipi, e le operazioni vanno a rilento), ha scortato una vecchina che si era persa il marito nella calca («Mi ha detto che la devi portare in discoteca», ha comunicato al coniuge ritrovato), ha scambiato saluti, strette di mano e sorrisi con gli altri elettori. Per l’emozione, gli scrutatori si son scordati di dargli la matita per votare e lui è dovuto tornare a riprendersela. «Siamo arrivati alla fine», ha sospirato. E poi se ne è tornato a casa con la famiglia, «era tanto che non si ritrovavano tutti insieme e oggi si dedica solo a quello», spiega il suo portavoce Roberto Roscani.
Il telefono del leader Pd ha comunque continuato a squillare tutto il pomeriggio: gli uomini dello staff che lo aggiornavano su afflusso alle urne e ultimi sondaggi, amici e compagni che facevano gli auguri, dirigenti politici che chiamavano per scambiare opinioni: da Prodi, che stamani sarà a Bologna ma potrebbe rientrare in serata a Roma, a Bertinotti a Rutelli, impegnato a riconquistare Roma dopo le due sindacature veltroniane.
Al loft, ieri, si consultavano ansiosamente i dati dell’affluenza alle urne, e gli ultimi rilevamenti super-segreti, e si mandavano messaggi euforici. «Siamo ottimisti, la forbice si è ristretta molto», assicuravano. E spiegavano che «per il Pd sarebbe già una clamorosa vittoria non far vincere Berlusconi, e aggiudicarsi un buon risultato di lista». Ossia con un Senato senza maggioranza e un Pd attorno al 35 per cento Veltroni fa bingo. Ma a sera i dati sulle regioni rosse creavano qualche preoccupazione in più.


Il quartier generale delle elezioni è pronto: a un passo dal Palatino, l’ex Autoparco dei vigili urbani, che ora il Comune affitta per eventi e manifestazioni, accoglierà dal pomeriggio i circa mille giornalisti italiani ed esteri accreditati. E lì si trasferirà anche Veltroni, a sera, ad aspettare il verdetto.

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