RomaVeltroni come Fini, pronto ad uscire dal Pd e a fondare gruppi autonomi? «Assolutamente no: questo partito ho contribuito a fondarlo e ci ho creduto come pochi», smentisce recisamente il diretto interessato. Anzi, afferma il veltroniano Stefano Ceccanti: lindiscrezione sulla possibile scissione parlamentare dei seguaci di Walter e degli scontenti che fanno capo allex Ppi Fioroni è «stata fatta uscire ad arte da chi vuole delegittimare la nostra dura opposizione alla linea del segretario».
Ma che il rapporto tra Veltroni e il partito da lui fondato si sia profondamente logorato è un fatto, e lo stesso ex leader nei suoi incontri privati non lo nasconde: «Il Pd, come lo avevamo immaginato noi e tanti milioni di elettori, è finito. È stato affossato e basta guardare i sondaggi per capirlo: non eravamo mai arrivati così in basso, tanto più in un momento di crisi epocale della maggioranza», si è ad esempio sentito dire, in un colloquio di pochi giorni fa, il capogruppo Dario Franceschini. Al quale Veltroni ha contestato la scelta di «tornare in braccio a DAlema», abbandonando lopposizione interna a Bersani (che proprio Franceschini, in quanto sconfitto nella battaglia per la segreteria, doveva guidare) per allearsi con il segretario. «Ma tu che idee hai ora per il Pd?», ha chiesto piccato il capogruppo. «Non tocca a me avere idee, ora - ha replicato Veltroni - la responsabilità è di altri a questo punto: facessero loro».
Un Veltroni totalmente pessimista sul futuro del partito, confortato nelle sue previsioni dal «preoccupante» sondaggio pubblicato ieri da Repubblica (con il Pd al 26,5% che cede consensi sia a Vendola sia a Fini), molto deluso e - al di là delle smentite doverose - convinto che lo spazio politico per le sue posizioni, dentro il Pd, sia pressoché nullo: «Ormai è tutto in mano al vecchio fronte dalemiano della conservazione». Un fronte «a corto di strategia politica», rileva Ceccanti, «si illudono di poter fare unalleanza con lUdc, che guarda inevitabilmente a destra, e finiscono per essere subalterni sia a Casini che a Vendola».
Ad aver indignato Veltroni, alimentando la tentazione di rompere i ponti con «questo» Pd, è stato certo il «manifesto dei giovani turchi», nel quale giovani dalemiani e bersaniani hanno bollato come «hollywoodiana» e «vuota» la sua politica; ma soprattutto lo ha amareggiato lattacco di Matteo Renzi, che lo ha appaiato a DAlema chiedendo la «rottamazione» dei vecchi leader.
Lex segretario conosce bene, però, i meccanismi della politica: se anche fosse tentato di esportare altrove il copyright del «vero» partito democratico, quello «leggero» a vocazione maggioritaria e a ispirazione americana, sa perfettamente che rischia di restare solo o quasi: con il governo appeso a un filo e la possibilità di elezioni anticipate, solo dei kamikaze dichiarerebbero guerra aperta al segretario che ha potere di vita e di morte sulle liste elettorali. Tantè che dalla minoranza interna è in corso un esodo verso le sponde bersaniane. Dunque, «è nel Pd che continuerò a dire le mie opinioni, sperando che sia possibile farlo», avverte, e le prime occasioni saranno il summit convocato stasera da Bersani e la riunione di direzione di fine settembre.
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