«La vena creativa degli ebrei? È stata castrata dalla religione»

Insieme a Il responsabile delle risorse umane, il film di Eran Riklis candidato all’Oscar per Israele, è arrivato in Italia anche l’autore del romanzo omonimo, l’israeliano Abraham Yehoshua, per ritirare oggi il premio Tarquinia Cardarelli per la Critica letteraria internazionale. Per le raccolte, da Elogio della normalità a Il labirinto dell’identità (tutti Einaudi), «dove si ravvisa il saggista nel senso della grande tradizione del personal essay: un percorso soggettivo e divagante». E tra un mese esce in Israele il nuovo romanzo, Spanish Grace, dove il cinema è di nuovo in primo piano. Abbiamo chiesto a Yehoshua qualche risposta in esclusiva.
Ci può anticipare i temi di «Spanish Grace»?
«I protagonisti sono un regista che ha più o meno la mia età e uno sceneggiatore che è stato un tempo suo allievo. I due, che in passato collaboravano, e si sono divisi dopo un’accesa disputa, si ritrovano a Santiago de Compostela per una retrospettiva del cineasta. Questo è l’avvio di un romanzo dove ho cercato di elaborare il conflitto tra le differenti forze che regolano la creatività».
Già dieci film dai suoi libri. Il prossimo?
«Fuoco amico, regista il vostro Gianni Amelio, da cui mi aspetto molto. Viaggio alla fine del millennio, che avrà un produttore francese. E per la televisione, Un divorzio tardivo, dove la famiglia israeliana diventa ebrea americana».
Qualcosa nei suoi libri attrae i cineasti...
«Non solo i cineasti, anche il teatro. E ho scritto anche il libretto di un’opera. Non sono i dialoghi, ad attrarli, ma le scene: mi dicono che le situazioni che creo hanno un’essenza drammatica esplicita. Io di sicuro quando scrivo non penso al cinema, ma ai lettori».
Nella prefazione al libro di Agnon «Appena ieri» (Einaudi), da poco uscito in Italia, ha scritto che nei secoli la creatività ebraica è stata castrata dalla religione. Che significa?
«L’energia artistica degli ebrei è eruttata, proprio come un vulcano, negli ultimi 150 anni, con la secolarizzazione. Per questo ci stupisce tanto il numero di artisti ebrei moderni e contemporanei. Prima, dalla mattina alla sera l’ebreo, a differenza del cattolico, era ostaggio dei comandamenti: doveva pensare solo a ciò che era lecito o no. Abbiamo vissuto a Firenze, Roma, Vienna, seduti accanto a Leonardo e Michelangelo, e non abbiamo mai prodotto nulla. Perché per produrre arte l’uomo deve essere libero».
Compito della letteratura?
«Concentrarsi sul presentare i dilemmi. In senso anche politico».
Di recente ha sentito il bisogno di rispiegare il sionismo. Perché?
«Perché è diventato come il ketchup, lo si mette su qualsiasi discorso a proposito di Israele. Non è un’ideologia, non va usato in senso peggiorativo. Sionista è chi ha voluto lo stato di Israele, non chi discrimina gli arabi. E anti-sionista è chi vuole cancellare retroattivamente questo Stato».
Perché il conflitto Israele-Palestina è così complesso?
«Perché non c’è un caso uguale nella storia.

Se un giorno qui a Tarquinia tornassero gli Etruschi e reclamassero questa terra, che cosa crede che accadrebbe? L’unica soluzione è tagliare i territori palestinesi in due stati. Tutto il mondo ha accettato questo. Dobbiamo operare il taglio, come farebbe un chirurgo. Non resta che farlo. Farlo. Farlo. Vuole venire ad aiutarci?».

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